di Domenico Letizia

Vi è tutta una analisi storica e giuridica da approfondire nell’illustrare i poteri, le strutture istituzionali, la proprietà comune e i rapporti tra i vari comuni in età moderna nel Friuli, Veneto, Lombardia, Piemonte e in parte della Toscana. La vicinia nel linguaggio comune rappresenta il villaggio e la comunità dei suoi abitanti.

Nelle vicinie, durante l’età moderna, peculiare era l’unità del villaggio che consentiva l’autogoverno contadino della comunità. Superando divisioni interne, la vicinia, riacquistava compattezza interna e teneva vivi i meccanismi di solidarietà soprattutto per quanto riguardava il patrimonio fondiario collettivo, i beni comuni e i beni comunali. In ambito storico giuridico è interessante analizzare l’importanza rivestita dal patrimonio fondiario intestato ai villaggi: terreni concessi in sfruttamento come pascoli o boschi, beni allodiali o comparti riservati solo ad alcune famiglie privilegiate. La popolazione agiva nel rispetto della conservazione e della difesa della proprietà collettiva. La tenace opposizione all’opera di privatizzazione dei demani comunali, voluta dalle varie signorie, non nasceva solo da ragioni puramente economiche ma dalla consapevolezza che tali beni appartenevano alla realtà della comunità in cui si viveva, permettendo ad ogni componente, per consuetudine, di pascolare liberamente o di raccogliere frutta e legna dai boschi e dai terreni del demanio pubblico. Tale patrimonio era intestato ai Comuni – ridefiniti giuridicamente con l’unione dei villaggi autonomi – che lo amministravano attraverso propri consigli, in genere consorzi di famiglie originarie della comunità. Una tale gestione del demanio pubblico è identificabile in quella che oggi gli economisti definiscono “proprietà collettiva”, ovvero un ordinamento di diritti di proprietà nel quale un gruppo di utenti di una risorsa condivide diritti e doveri verso di essa. La comunità locale è chiamata a gestire il patrimonio raggiungendo uno scopo comune che la comunità stessa si dà: l’autogoverno del demanio pubblico. Infatti tali beni sono caratterizzati dalla loro incommerciabilità e “inappropriabilità”, e scopo di tale demanio pubblico è quello di fornire beni, servizi e opportunità ai membri della comunità locale, creando vantaggio patrimoniale collettivo. Ciò spiega perché quando iniziarono le privatizzazioni dei terreni pubblici durante il XVII secolo, in molte comunità, si ebbe il fiorire di sollevazioni contadine e di scontri in piazza. La privatizzazione dei boschi risultò incomprensibile alle comunità che continuarono a considerare una consuetudine tale usanza. Tale ingerenza governativa negli affari gestionali della comunità, o vicinia, provocò la progressiva corrosione delle varie forme di comunismo agrario e dei meccanismi di solidarietà che s’innescavano tra i vari membri. Si arrivò così ad indebolire e a compromettere l’autonomia e l’indipendenza dei vari istituti amministrativi comunitari, minacciati ulteriormente dalle sempre presenti rivendicazioni di signori e possidenti.

La compattezza interna del villaggio andò via via affievolendosi, messa in crisi dall’accentuarsi delle differenziazioni sociali che si andavano costituendo, soprattutto per il restringimento dei poteri decisionali, che andavano concentrando in poche mani governo, consigli e banche, e provocavano come logica conseguenza una limitazione nella partecipazione pubblica e la nascita di un élite di potere pubblico in grado di sfaldare il radicato spirito comunitario. Ciò provocò nei villaggi alpini, a partire dalla fine del Settecento, la chiusura nei confronti dei forestieri, mettendo in crisi il sistema di tolleranza che caratterizzava la composizione delle vicinie.

La riduzione dei poteri decisionali è riscontrabile a partire dal Settecento un po’ovunque sia nelle valli sotto la giurisdizione veneziana sia nei domini friulani degli Asburgo, in montagna invece si finì per togliere alla povera gente l’unica risorsa sulla quale potevano contare: i pascoli. L’analisi soprattutto storica e giuridica delle vicinie, intesa come sviluppo delle consuetudini tra le varie comunità, risulta d’interesse particolare soprattutto per il riproporre, attualmente, modelli di gestione che s’intreccino ad un sincero federalismo, all’autogoverno delle comunità e al fallimento delle politiche centraliste e stataliste.

 

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