di Gabriele Gunnellini

untitledFin dalle fasi immediatamente successive ai vari sconvolgimenti della sponda sud del Mediterraneo denominati “Primavera Araba”, ed in particolar modo dalla fine della guerra civile libica, il movimento marocchino/algerino del Fronte Polisario (dall’abbreviazione spagnola di Frente POpular de LIberaciòn de SAguia el hamra y RIo de oro) sta subendo una trasformazione al suo interno che potrebbero minarne la stabilità e la legittimità, anche a fronte di sempre maggiori legami con le varie milizie islamiste radicali dell’area.

Fondato negli anni ‘70 con lo scopo di ottenere la liberazione del territorio del Sahara occidentale dall’occupazione marocchina, il movimento si è poi evoluto nel braccio armato della Repubblica Araba Sahrawi Democratica, costituitasi in Algeria e riconosciuta quale Governo in esilio da ben 76 Stati. A seguito del riconoscimento internazionale, il Fronte si è quindi dotato di un servizio di leva volontario e di una propria strutturazione militare, basata su sette regioni militari, sei schierate al confine con il Marocco e una di tipo logistico nelle retrovie, per un totale di circa 10 mila effettivi, la maggior parte dei quali concentrati nei pressi dei campi profughi di Tindouf, nell’Algeria sudoccidentale.

Ad essa il Marocco oppone un sistema difensivo incentrato su 2720 km di mura di cemento, bunker e reticolati di filo spinato rinforzati da postazioni fisse di mitragliette leggere a difendere il perimetro e diverse migliaia di mine antiuomo collocate in diversi punti. Tale assetto difensivo non si limita a delimitare il confine tra il Marocco e l’Algeria, ma interseca le principali direttrici di comunicazione all’interno dello stesso Sahara occidentale, tagliando il territorio in diversi settori e impedendo di fatto i normali spostamenti delle popolazioni sahrawi ivi residenti, che sempre più in massa scelgono quindi la via dell’esilio in Algeria.

Il Fronte Polisario è stato storicamente sostenuto dall’Algeria e da Gheddafi, ma i cambiamenti incorsi con la cosiddetta Primavera Araba ne stanno facendo evolvere la posizione in maniera del tutto inaspettata.

Nonostante il nuovo Governo libico sia stato oramai riconosciuto dalla maggioranza dei Paesi del mondo, l’Algeria ha manifestato una costante diffidenza verso il nuovo establishment di Tripoli, sia per le connivenze tra il passato regime e l’Algeria, che fin dalle prime fasi del conflitto ha offerto asilo ai familiari di Gheddafi, sia per i dubbi riguardanti l’effettiva capacità del nuovo Governo libico di contrastare le milizie radicali presenti nel Paese.

Con ogni probabilità, da parte algerina la normalizzazione dei rapporti sarà condizionata all’effettiva manifestazione della capacità del Congresso Generale Nazionale (CGN) di contrastare efficacemente Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e le sue varie diramazioni, nonché le milizie radicali legate ai signori della guerra e del narcotraffico. I timori dell’Algeria, infatti, riguardano le sempre maggiori evidenze di infiltrazioni di guerriglieri dalla Libia, e dunque la possibilità che le milizie radicali possano utilizzare il territorio libico come retrovia per portare avanti attacchi in Algeria. Tale preoccupazione si è sostanziata, nel maggio scorso, nella chiusura unilaterale dei passaggi terrestri di frontiera da parte dell’Algeria per prevenire ulteriori infiltrazioni.

Il nuovo ordine potrebbe aver mutato non poco gli equilibri nel nord Africa. I vari tentativi di panafricanismo di Gheddafi, infatti, aveva determinato negli anni anche una politica di sostegno per il Fronte Polisario, con la breve interruzione degli anni ’80, quando per garantirsi il favore del Marocco nella costituzione dell’Unione maghrebina il leader libico non esitò a consegnare a Rabat i guerriglieri sahrawi presenti in Libia. Decaduta la possibilità di portare avanti tale progetto, Gheddafi ricominciò a sostenere il Fronte in funzione anti marocchina.

Da ciò si comprende per quale motivo, allo scoppio delle ostilità in Libia, il Marocco abbia subito sostenuto i ribelli, anche se non apertamente. Dopo la caduta di Tripoli il Ministro degli Esteri marocchino si è recato a Bengasi, dove ha avuto luogo il formale riconoscimento marocchino del CNT quale unico Governo legittimo. In cambio, il CNT, che non ha mai nascosto le proprie antipatie verso la causa berbera e le istanze di autonomia delle popolazioni del sud del Paese, ha dichiarato di sostenere la causa marocchina sulla questione del Sahara occidentale.

La Libia, dunque, che prima era uno dei principali sostenitori del Fronte Polisario, si trova adesso dall’altro lato del Muro Marocchino.

Allo stesso tempo, l’Algeria si trova isolata in un quadro politico completamente mutato. Un Paese nel quale la Primavera Araba è passata in maniera appena percettibile, con poche o nulle concessioni e aperture da parte della classe politica, si ritrova ora a dover sostenere tutti gli oneri del sostegno al Fronte e alla ricostruzione dei rapporti con i suoi vicini.

E’ in questo quadro di forte incertezza per le proprie alleanze internazionali che il Fronte Polisario è costretto a cercare nuovi alleati e sostenitori, anche di natura non statale. In tal senso, il pericolo che il Fronte si orienti verso la ricerca di maggiori legami con le varie milizie radicali nord africane è sempre più allarmante. Diversi episodi sembrano testimoniare tale nuova tendenza, tra cui il rapimento della cooperante italiana Rossella Urru nel campo di Tindouf ad opera del MUJAO (Movimento per l’Unicità e Jihad nell’Africa Occidentale), che ha fatto emergere i crescenti legami tra il Fronte e questa milizia. Secondo diverse fonti indipendenti, inoltre, il MUJAO sta portando avanti una vera e propria politica di proselitismo nei campi profughi dell’Azawad, con molti guerriglieri reclutati proprio nei campi di Tindouf.

Il campo profughi algerino è l’ennesimo esempio di come i finanziamenti internazionali possano facilmente essere dirottati verso le milizie radicali locali. Costato oltre un miliardo di dollari in 20 anni, il campo risulta essere attualmente uno dei maggiori centri di reclutamento di guerriglieri e di smistamento dei vari traffici illeciti che interessano la zona.

Il MUJAO, che durante il conflitto maliano ha cercato di espandere verso sud le sue zone di interesse, cercando una politica di coordinamento con il movimento nigeriano di Ansaru, potrebbe diventare nel breve periodo il trait d’union tra le milizie del zona sud del Sahel e lo stesso Fronte Polisario, attraverso uno sfruttamento congiunto dei traffici di droga e armi che attraversano la zona.

All’interno della questione, il popolo sahrawi si ritrova ad essere il testimone passivo del mutamento degli equilibrio dell’area. Se prima esso rappresentava solamente un’arma di pressione nelle mani di Libia e Algeria contro il Marocco, ora la deposizione di Gheddafi non sembra aver migliorato di molto la sua condizione.

L’Algeria in primis si ritrova costretta a cambiare modus operandi, per ricostruire buoni rapporti con il vicinato. Con la Libia oramai assimilabile ad uno Stato fallito, lo stabile Regno del Marocco risulta essere l’unico interlocutore possibile.

La mutata situazione fa passare il fronte da un contesto stabile, che vedeva due blocchi contrapposti – Algeria e Libia contro il Marocco – ad uno scenario in cui il movimento si ritrova senza controllo, costretto a rivendicare i suoi diritti nel Sahel.

Il pericolo maggiore, dunque rimane il fatto che il fronte trovi un’immediata valvola di sfogo per le proprie file nelle rivendicazioni territoriali basate sull’estremismo religioso, e da qui cerchi di associarsi sempre più alle milizie radicali già operanti nell’area, che possono fornire motivazioni ed esperienza alla pluridecennale lotta per l’indipendentismo sahrawi.

Tale situazione, se portata all’estremo, potrebbe portare ad una degenerazione particolarmente preoccupante visti i numeri e l’addestramento del movimento.

Un intero esercito composto da migliaia di effettivi, debitamente equipaggiati e addestrati per anni dalle truppe regolari algerine e libiche, rappresentano infatti una forza militare di gran lunga superiore alle milizie radicali presenti nella zona, già di per sé capaci di dare del filo da torcere a diversi Stati dell’area.

 

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