di Mauro Zampini
Nell’ epoca, infinita e proterva, dei luoghi comuni, delle semplificazioni, del rifiuto di ogni analisi che prolunghi lo slogan, l’ idea di questa riflessione nasce dalla memoria di un grande italiano, sconosciuto ai piu’, Paolo De Ioanna (a sinistra, nella foto), scomparso pochi giorni fa.
Dirigente dell’amministrazione del Senato, capo di gabinetto di grandi ministri, segretario generale di palazzo Chigi, consigliere di Stato. Per la semplificazione di massa, un burocrate, con tutto quello che di sommariamente spregevole questo termine reca con sé, in un giudizio sbrigativo e definitivo.
Per la semplificazione strumentale, mirata e cinica, del vicepresidente del consiglio pluriministro Luigi Di Maio, un “parassita”, un “nababbo da yacht”, e basta. E va ancora bene, che non si aggiunga altro.
Tanto per cominciare, il concetto di “uomo di Stato” si cuce meglio attorno a Paolo De Ioanna che alla grande parte di quanti dovrebbero aspirare ad esserlo per avere scelto la cura della polis come proprio impegno. Ecco, sarebbe bello riuscire a spiegare chi era De Ioanna, davvero. Anzitutto la scelta di servire la politica, quella con l’abito di gala delle istituzioni, in luogo di quella che sotto sotto spesso stringe con le burocrazie la piu’ sordida delle relazioni, la complicita’. Di servirla per farla essere al livello della propria, immane responsabilità. A Paolo, lo scambio tra uso di parte della competenza e favore non si poteva proporre, lo si capiva al volo.
Il vero servitore dello Stato è quello che ha il massimo rispetto verso la politica, esaltato dall’orgoglio della propria autonomia. Politici e alti dirigenti lavorano assieme, ma hanno responsabilità che non si dovrebbero incrociare, combinare. Niente intese, aiuti reciproci, promesse, la carriera di domani per un favore oggi. Paolo era stimato dagli uomini di Stato, ignorato dalla politica dedita allo scambio, quella che è sempre In campo, anche ai tempi del governo del cambiamento.
La competenza – e quella di Paolo era straordinaria, sublime, vasta – puo’ essere spesa per la collettività, o per un interesse privato. Non ha prezzo, ha solo valore: lo diciamo a chi pensa che i grand commis siano faccendieri in vendita, o in affitto. C’è un “gioco” , apparentemente leggero: giudicare i politici dai funzionari di cui si circondano, e i funzionari dai politici con cui si sentono di lavorare . Con Paolo, funziona alla grande, se tra i nomi che escono vi sono quelli di Mino Andreatta, di Tommaso Padoa Schioppa e Carlo Azeglio Ciampi.
P. S. Al ricordo affettuoso scritto da Mauro Zampini vorrei aggiungere solo poche parole. Ho conosciuto De Ioanna quando a Roma partecipavo ai lavori. seminariali e di ricerca, della Fondazione Italiadecide. Oltre la sua competenza tecnico-economica e la sua profonda conoscenza della macchina statale di lui mi hanno subito colpito il tratto affabile, elegante e signorile ( da antico gentiluomo napoletano). De Ioanna era sconosciuto al grande pubblico, anche a quello che s’interessa di politica. Per la semplice ragioone che era, come suole dirsi, un civil servant, che per anni si è diviso tra università e istituzioni: ha dunque sempre lavorato per la politica, ai massimi livelli, ma sempre stando un passo indietro al governante o politico di turno. In quella funzione appunto servente, ma non ancillare, che è tipica di chi lavora per lo Stato e dunque nell’interesse dei cittdini. Ricordarlo – in questi tempi bui, in cui sembra essersi perso ogni senso del dovere e delle istituzioni – – era più che un dovere. Bendì una necessità, nella speranza che il suo esempio professionale, per il bene dell’Italia, possa ancora trovare eredi e prosecutori.
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