di Luca Marfé
L’elenco dei canditati democratici si allunga di giorno in giorno, ma in cima alla lista del nuovo sogno americano c’è un solo nome. Ed è quello di Bernie Sanders.
Il senatore del Vermont, classe 1941 ma forte di quell’aria da giovane rivoluzionario della politica, ci riprova e lo annuncia con delle parole che sono già Storia.
Con i cuori che battono a sinistra che ricominciano, finalmente, a rimettere in circolo le loro speranze.
«Voi ed io, insieme, abbiamo avviato nel 2016 una rivoluzione politica. È giunto il momento di portarla a termine».
La rivoluzione è l’istruzione gratuita, la sanità pubblica e in generale una maggiore equità sociale.
Il momento è adesso, il traguardo è il 2020.
«Dobbiamo ampliare la nostra visione: Trump è un bugiardo patologico, un impostore, un razzista, un sessista, uno xenofobo, una bomba nelle fondamenta della nostra democrazia che ci sta trascinando in direzione di un allarmante autoritarismo. Ma non c’è solo lui: qui c’è da trasformare tutto un Paese, c’è da strutturare un governo basato su princìpi di giustizia economica, sociale, razziale e ambientale».
Con stoccata finale per i super ricchi.
«Loro potranno pure avere un sacco di soldi. Ma noi…noi abbiamo un sacco di gente».
È chiamata “alle armi”, insomma. È chiamata al voto, sin da ora.
E questa volta Sanders potrebbe farcela per davvero.
In primis, perché non è più sconosciuto o quasi come lo era al momento della sua prima candidatura. Tutti al tempo, compresi i suoi estimatori, avevano avuto la percezione (purtroppo giusta) che il suo tentativo fosse un “long shot”, ovvero un “colpo dalla lunga distanza”, un successo improbabile. Oggi le cose stanno in maniera completamente diversa: Bernie è uno dei nomi più popolari su piazza e, a dispetto della sua età, è in grado di smuovere con forza le radici più giovani del Partito Democratico. Le stesse che, tanto per essere chiari, erano rimaste immobili a casa al momento di votare per Hillary Clinton.
Uno dei principali nodi, però, è proprio il partito, di fatto non suo.
Sanders ha un rapporto travagliato con certi ambienti che non rappresenta e, cosa ancora più grave, che non vuole rappresentare. È un indipendente che tuttavia ha il carisma, la dialettica, l’esperienza, le idee e la voglia per arrivare fino in fondo. E di questo, nella grande casa della sinistra americana, tutti dovranno tenerne conto prima di sbarrargli (di nuovo) la strada.
L’altra questione fondamentale e duplice riguarda le preferenze delle donne e degli elettori di colore (questi ultimi rappresentano il 20% della famiglia dem, ndr): in entrambi i casi, nella precedente tornata, aveva prestato il fianco ad una Hillary che lo aveva massacrato o quasi.
Nel muovere la macchina della sua campagna, dunque, deve mantenere la guardia alta.
C’è infine uno sforzo che deve compiere. Una sorta di miracolo della politica.
Non deve perdere un briciolo della sua energia socialista, ma al tempo stesso deve far sì che non si converta in un’etichetta fallimentare nel quadro di un Paese che sprizza capitalismo da tutti i pori.
Nessun demone comunista. Solo un riformista necessario in un’America che il suo demone lo sta affrontando già.
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