di Alessandro Campi
Immaginiamo la scena, avvenuta lo scorso 25 settembre. Siamo nel castello di Valençay, Dipartimento francese dell’Indre, dove un tempo visse il principe di Talleyrand. Un acclamato filosofo, Michel Onfray, vi si reca su invito della direttrice Sylvie Giroux. L’occasione è di quelle che potrebbero passare alla storia: ecco dunque le telecamere e i fotografi.
Qualche tempo prima, nei depositi del castello è stata ritrovata una tavola ad olio di 55 centimetri per 42. Raffigura un uomo di profilo su un fondo scuro: testa calva, barba a pizzetto, il colletto bianco che sporge da un abito nero. Da un documento ritrovato durante la recente sistemazione dell’archivio, datato 1874 e redatto da Léon Chevrier, all’epoca contabile del castello, risulta che l’uomo ritratto sia Niccolò Machiavelli. E che l’autore del dipinto sia Leonardo da Vinci (a sinistra, la foto del ritratto e il documento che l’attribuisce a Leonardo).
Onfray, che ha appena pubblicato un libro intitolato Le Crocodile d’Aristote, una storia della filosofia attraverso la pittura (dove ha dedicato un capitolo al Machiavelli realizzato da Santi di Tito e oggi custodito al Palazzo Vecchio di Firenze), è lì per certificare l’autenticità dell’opera. La prende in mano con emozione. La scruta da vicino. Nello sguardo dell’uomo dipinto vede “une incandescence glaciale. Un feu de gel. Un froid de braiose”. Non può essere che l’autore del Principe. Quanto al fatto che l’artista sia Leonardo, niente di più probabile. I due non si sono forse conosciuti? Un genio che ne dipinge un altro. Che c’è di strano? (video)
La scoperta, in effetti sensazionale, è così autorevolmente avallata. La notizia viene immediatamente diffusa. Nell’anno leonardiano è spuntato dal nulla un inedito leonardesco – e con quale soggetto! Il circo mediatico non aspettava altro.
Naturalmente si tratta di una bufala. Diciamo, per essere clementi, di uno scherzo ben riuscito. Sulla vicenda, diffusa con grande clamore dai media francesi e ora rimbalzata anche in Italia, nessuno storico dell’arte ha sinora pronunciato mezza parola. Perché rovinarsi la carriera – problema che Onfray evidentemente non ha?
Il personaggio dipinto è infatti, con quasi certezza, Michel de Montaigne (1533-1592), che con quelle fattezze compare in molte delle sue raffigurazioni arrivate sino a noi: in quella attribuita a François Quesnel (1543-1619) la somiglianza è evidente (si veda la foto a sinistra). Essendo Leonardo morto nel 1519 nessuno vorrà sostenere che abbia ritratto Montaigne dall’aldilà.
Quanto a Machiavelli, che non c’entri nulla ce lo dice la tradizione iconografica riferita al suo nome. Ritratti in vita del Fiorentino non ne esistono. E per la semplice ragione che il Machiavelli vivente non era il Machiavelli della posterità: l’autore geniale del Principe e dei Discorsi, l’iniziatore della modernità politica. Nobile di scarso rango, funzionario della Signoria sempre in ristrettezze economiche, politicamente uno sconfitto dopo il ritorno dei Medici al potere, apprezzato come letterato e scrittore di cose politiche da una cerchia ristretta, per quale ragione Leonardo – artista abitualmente al soldo di re e principi – avrebbe dovuto impegnare il suo genio di ritrattista con un personaggio all’epoca di nessuna celebrità? Ma quel che vale per Leonardo vale per tutti gli artisti che operavano a Firenze in quel tempo: non si immortala chi non ha fama e chi non ha soldi per pagare una committenza.
Non è un caso dunque che i ritratti di Machiavelli a noi noti siano tutti postumi e, per quanto diversi tra loro, senza alcuna parentela con quello “irsuto” ritrovato a Valençay. Esiste in effetti una famiglia di ritratti che presenta un Machiavelli barbuto e in abiti spagnoleggianti, ma è una rappresentazione immaginifica del tardo Settecento: si trova nell’antiporta del primo tomo delle Opere machiavelliane pubblicate nel 1796-97 dall’editore livornese Gaetano Poggiali. Anche quest’ultimo per l’occasione s’inventò una bufala a scopo commerciale: scrisse nell’introduzione che quell’incisione era stata ricavata da un ritratto del Fiorentino realizzato dal Bronzino che lui possedeva in originale. E che nessuno ha mai visto semplicemente perché non è mai esistito.
Ma, si obietta, Machiavelli e Leonardo nelle loro vite si sono effettivamente incrociati. E’ assai probabile, ma mancano prove e testimonianze, che non siano indirette e indiziarie. Forse erano insieme nel giugno 1502 nella Urbino occupata da Cesare Borgia. Forse Machiavelli era presente quando nel 1504 Leonardo firmò con la Signoria il secondo contratto per la realizzazione, nel Salone dei Cinquecento, della Battaglia di Anghiari. Ma essersi incontrati non vuole dire essersi conosciuti e apprezzati. Semmai è più interessante la parentela spirituale e intellettuale tra i due – sperimentatori, empirici, osservatori del mondo reale, personalità eclettiche.
In tutta l’opera di Machiavelli, non a caso, non c’è mai un cenno a Leonardo. Il suo nome ricorre una sola volta (indirettamente) in una missiva indirizzatagli, mentre si trovava a Roma, da Luca Ugolini l’11 novembre 1503: fatti gli auguri per la nascita del figliolo Bernardo, lo compiace scrivendo che il bambino gli somiglia “tutto sputato”. E aggiunge: “Lionardo da Vinci non l’arebbe ritratto meglio”.
Chissà, magari un giorno qualche buontempone, partendo da queste parole, scoprirà il ritratto che Leonardo, non avendolo fatto al padre, fece al figlio appena nato. La caccia è aperta.
Articolo apparso su “Il Messaggero” del 1° novembre 2019
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