di Pietro Pulsoni
«La guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi», diceva il Generale Carl von Clausewitz. In questa declinazione, l’azione rivendicata dal Ministro Salvini, con il trattenimento dei passeggeri della ormai famosa nave “U. Diciotti” potrebbe considerarsi un’azione normale, fisiologica nell’affermazione di un indirizzo politico mai nascosto ed anzi centrale nella campagna elettorale.
Tuttavia l’ordinamento giuridico del nostro Paese è informato a una serie di principi costituzionali che determinano la rilevanza della suddetta azione in ambiti ulteriori rispetto a quello prettamente politico.
di Pietro Pulsoni

«La guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi», diceva il Generale Carl von Clausewitz. In questa declinazione, l’azione rivendicata dal Ministro Salvini, con il trattenimento dei passeggeri della ormai famosa nave “U. Diciotti” potrebbe considerarsi un’azione normale, fisiologica nell’affermazione di un indirizzo politico mai nascosto ed anzi centrale nella campagna elettorale.

Tuttavia l’ordinamento giuridico del nostro Paese è informato a una serie di principi costituzionali che determinano la rilevanza della suddetta azione in ambiti ulteriori rispetto a quello prettamente politico.

Nello specifico l’art. 13 esprime il cd. habeas corpus (dalla sua prima affermazione ad opera dell’”habeas corpus act”, Regno d’Inghilterra, 1679), prevedendo che in Italia nessuno, cittadino o straniero, possa essere privato della libertà se non per aver violato una legge e previa autorizzazione o convalida di un magistrato. Corollario di ciò è il riconoscimento del diritto di difesa in un giusto processo dinanzi un Giudice terzo e imparziale, in posizione di parità con l’accusa (artt. 24 e 111 Cost.).

Vi sono poi i precetti recati dagli art. 95, 97 e 98 della Costituzione che esprimono da un lato la responsabilità politica individuale del Ministro per gli atti riferibili al suo dicastero, dall’altro il vincolo di imparzialità politica della Pubblica Amministrazione che è imposto ai funzionari e agli impiegati dello Stato che – seppure siano inseriti in un’organizzazione cui fa capo un vertice politico – sono al servizio esclusivo della Nazione e dunque di tutti, a prescindere da chi governi in un dato momento.  Tali precetti sono «alla base della stessa distinzione funzionale dei compiti tra organi politici e burocratici e cioè tra l’azione di governo – che è normalmente legata alle impostazioni di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’amministrazione, la quale, nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata, invece, ad agire senza distinzioni di parti politiche» (Corte Cost. sent. 103/2007).

Last but not least, si deve aver riferimento alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, cui l’Italia ha aderito e che oggi risulta altresì allegata ai Trattati UE, nella versione consolidata di Lisbona. Questa all’art. 5 prevede, in analogia con la Costituzione, la doppia riserva di legge e di giurisdizione per la privazione della libertà, oltre ovviamente al diritto di difesa.

Nel caso Diciotti è mancata l’adozione di un qualsiasi atto formale, dall’arresto al respingimento degli «stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l’ingresso nel territorio dello Stato»  o a quello differito differito – da parte del Questore – per coloro  «a) che entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all’ingresso o subito dopo; b) che, nelle circostanze di cui al comma 1, sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessita’ di pubblico soccorso» (art. 10 D.Lgs. 286/1998 ).

In questi casi è previsto che lo straniero venga condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi per i rilevamenti fotodattiloscopici e segnaletici, ed allo stesso sia assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito (art. 10ter), in applicazione dei regolamenti UE nn. 603 e 604 del 2013 (cd di Dublino) che regolano la competenza ad esaminare le domande di protezione internazionale e individuano i criteri per la collocazione dei beneficiari tra i diversi Stati membri.

In via subordinata rispetto al respingimento è previsto che il Prefetto possa decretare l’espulsione dello straniero quando si appuri, a distanza di tempo dall’ingresso, che questo «è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non e’ stato respinto ai sensi dell’articolo 10». Il trattenimento è previsto unicamente in quest’ultima ipotesi, per i casi di impossibilità a procedere all’espulsione immediata e comunque «per il tempo strettamente necessario» (art. 14).

Analogamente si esprime la direttiva rimpatri (Direttiva 115/1008/CE) che pure prevede l’ipotesi del trattenimento.

La breve panoramica che precede è utile a comprendere due cose: la natura effettivamente ed essenzialmente politica – nella declinazione “clausewitziana” – dell’azione del Ministro Salvini; e la inidoneità della normativa a risolvere le problematiche legate ai flussi in ingresso  con le ordinarie risorse della macchina pubblica.

A suffragio di ciò bisogna ricordare le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per violazione dell’art. 5 della Convenzione, dinanzi richiamato, o addirittura per la violazione dell’art. 3, che vieta la tortura e le pene pene inumane o degradanti, ma considera equiparabile alla tortura anche l’allontanamento, qualora vi siano motivi seri ed accertati per ritenere che l’interessato nel Paese di destinazione possa essere sottoposto ad analoghi trattamenti (tra le più recenti la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – Grande Chambre del 15.12.2016 caso Khlaifia e quella del 23.02.2012 caso Hirsi).

Nutro un certo scetticismo circa la possibilità che l’inchiesta avviata dalla Procura di Agrigento sfoci in una condanna per il Ministro o per la dirigenza apicale del dicastero. Più probabile che invece gli interessati tra 3 o 4 anni saranno risarciti dallo Stato per effetto di una sentenza della Corte di Strasburgo.

In conclusione, assistiamo ancora una volta all’incapacità delle forze politiche di sintetizzare le istanze presenti nella società, formulando una proposta che individui una base giuridica certa per la soluzione pratica dei problemi, rispettosa delle garanzie minime dei diritti umani e dello stato di diritto. La conseguenza è la trasposizione giudiziaria di problematiche generali in una dimensione individuale, circostanza che porta con se una ineliminabile dimensione di incertezza (ed ingiustizia) che relega nell’impotenza tanto gli organi di indirizzo politico – espressione della rappresentanza democratica – quanto i soggetti dell’ordinamento, cittadini come a Genova o stranieri come a Catania, imprevedibilmente esposti alle conseguenze dell’incapacità di prendere decisioni generali, astratte ed efficaci.

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