di Danilo Breschi
Dall’inizio del prossimo novembre la tedesca Ursula von der Leyen (nella foto a sinistra) sarà la prima donna presidente della Commissione europea. Dopo la nomina del greco Margaritas Schinas a commissario con il portafoglio all’immigrazione e alla “protezione dello stile di vita europeo”, la presidente in pectore ha dovuto spiegare cosa intendesse con questa espressione. Così si è espressa il 15 settembre scorso sulle pagine de “la Repubblica”: “Libertà, uguaglianza, democrazia, rispetto della dignità umana, dello Stato di diritto e dei diritti umani, oltre ad essere i valori comuni dell’Ue e costituire le nostre stesse fondamenta, racchiudono il significato autentico dell’Unione”. Ha inoltre aggiunto che “dovremmo essere fieri del nostro stile di vita europeo in tutte le sue forme e dimensioni e dovremmo costantemente preservarlo, proteggerlo e coltivarlo”, per precisare poi che “la migliore descrizione dello stile di vita europeo è racchiusa nell’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea” e che, “indipendentemente da dove veniamo e da dove viviamo nell’Ue, questo evoca un diritto ed un dovere per tutti noi”. Ha poi concluso ricordando come lo stile europeo “si è affermato a caro prezzo a fronte di grandi sacrifici e non dovrebbe mai essere dato per scontato, perché non è né immutabile, né garantito per sempre”.
Quest’ultima sottolineatura ci ricorda che non c’è futuro senza passato. È pertanto con apprezzamento da autentici europeisti che si dovrebbe accogliere la risoluzione approvata lo scorso 19 settembre ad ampia maggioranza (535 voti a favore, 66 contro e 52 astenuti) dal Parlamento europeo di Strasburgo. La risoluzione reca il seguente titolo: “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”. E subito sono scoppiate polemiche, ma perché?
Nel testo della risoluzione si parla del “riconoscimento del retaggio europeo comune dei crimini commessi dalla dittatura comunista, nazista e di altro tipo”. E più avanti prosegue sottolineando come “i regimi nazisti e comunisti hanno commesso omicidi di massa, genocidi e deportazioni, causando, nel corso del XX secolo, perdite di vite umane e di libertà di una portata inaudita nella storia dell’umanità”. Nel testo si legge anche che il “patto Molotov-Ribbentrop, e i suoi protocolli segreti, dividendo l’Europa e i territori di Stati indipendenti tra i due regimi totalitari e raggruppandoli in sfere di interesse, ha spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale”. La risoluzione, inoltre, “invita tutti gli Stati membri dell’Ue a formulare una valutazione chiara e fondata su principi riguardo ai crimini e agli atti di aggressione perpetrati dai regimi totalitari comunisti e dal regime nazista”.
Dunque, ad essere oggetto di polemiche e contestazioni è il fatto che questo voto dell’Europarlamento in sostanza equipara il comunismo al nazifascismo. Qualcuno, felicemente ignaro di storiografia, ha parlato di revisionismo storico e politico. Ma tant’è. Un ultimo dato va aggiunto: si sono espressi a favore in particolare il gruppo del PPE, di cui fa parte Forza Italia, il gruppo Identità e Democrazia a cui aderisce la Lega, il gruppo dei Conservatori e Riformisti di cui fa parte Fratelli d’Italia e anche quello dei Socialisti e Democratici di cui è membro il PD. Tutti i parlamentari italiani di tali gruppi presenti in aula ieri, risultano aver votato a favore.
Stupisce che ci si possa stupire. Quell’unione europea a parole tanto invocata e osannata, agitata talora strumentalmente contro il sovranista e populista di turno, si costruisce proprio così come ha inteso fare questa risoluzione, di cui originariamente esistevano quattro versioni e che, alla fine, si è tradotta in un testo legittimamente e fisiologicamente frutto di un compromesso tra le diverse sensibilità e storie delle nazioni d’Europa, dell’Ovest, del Centro, dell’Est. Si costruisce, cioè, con un memoria che può in questo caso davvero essere condivisa in nome della libertà, il cui rovescio antagonistico è il totalitarismo. L’Europa o è antitotalitaria, ovvero tanto antinazista (e antifascista) quanto anticomunista, oppure non è. Ossia non si darebbe la definizione di un’Europa terra di libertà, di tutela e promozione della persona umana.
Stupisce che alcuni, compresi storiografi e intellettuali di professione, abbiano avuto da ridire su un’equiparazione che già Hannah Arendt formulò nel 1951. Anzi no, non stupisce. Va solo ricordata la storia degli anni Cinquanta e Sessanta, di come durante la Guerra Fredda per tutti i simpatizzanti occidentali del comunismo, e tra essi schiere innumerevoli di accademici e giornalisti, l’equiparazione era solo una distorsione orchestrata dalla CIA in nome dell’antisovietismo americano. E sulla faziosità e non scientificità della categoria di totalitarismo che accomunava Hitler a Stalin, il Terzo Reich all’Urss, continuano tuttora a scrivere nostalgici mal camuffati da imparzialissimi esegeti.
Ci limitiamo ad un paio di citazioni, quanto lo spazio di un articolo consente. Citazioni che parlano da sé. La prima dal fondatore del comunismo realizzato, Lenin, il quale si diceva convinto che «la vittoria del proletariato sulla borghesia era impossibile senza una guerra lunga, tenace, spietata, per la vita e per la morte» (L’estremismo, malattia infantile del comunismo, trad. it. 1957, p. 14). Per tale motivo, la prassi rivoluzionaria doveva avere sempre ben presente l’esempio del Terrore giacobino:
«Giacobinismo non significa lotta in guanti bianchi, ma lotta senza sentimentalismi, senza paura di usare la ghigliottina, significa lottare senza scoraggiarsi di fronte ai fallimenti. Certo, non saprebbero essere giacobini Bernstein e compagni, che attribuiscono una validità assolta ai principi democratici. L’ostilità verso i metodi di lotta dei giacobini ingenera inevitabilmente l’ostilità verso il concetto di dittatura del proletariato, ossia la violenza, da cui non si può prescindere, se si vuole il trionfo della rivoluzione socialista e l’annientamento dei nemici del proletariato. Se le purghe giacobine sono indispensabili, al buon esito della rivoluzione borghese, a maggior ragione si può instaurare la dittatura del proletariato. Questo è il punto essenziale: la dittatura del proletariato può essere fondata soltanto sulla violenza giacobina» (da un colloquio col bolscevico Nicolaj Valentinov; vedi I miei colloqui con Lenin, trad. it. 1969, pp. 125-126).
La seconda citazione da Hannah Arendt:
«Le Weltanschauungen del XIX secolo non erano di per sé totalitarie. E il razzismo e il comunismo non lo erano in linea di massima più delle altre; se sono diventati le ideologie determinanti del XX secolo, è stato perché gli elementi dell’esperienza su cui erano originariamente basati (la lotta fra le razze per il dominio del mondo, la lotta fra le classi per il potere nei vari paesi) si sono rivelati politicamente più importanti di quelli delle altre ideologie. In tal senso, la vittoria ideologica del razzismo e del comunismo su tutti gli altri ismi è stata decisa prima che i movimenti totalitari se ne impadronissero. D’altronde, benché tutte le ideologie contengano elementi totalitari, questi sono pienamente sviluppati soltanto da tali movimenti, e ciò suscita l’impressione erronea che soltanto il razzismo e il comunismo abbiano un carattere totalitario. La verità è piuttosto che l’autentica natura di ogni ideologia si è rivelata esclusivamente nel ruolo da essa svolta nell’apparato del totalitarismo» (Le origini del totalitarismo, trad. it. 1999, p. 644).
In sintesi: senza antitotalitarismo ogni affermazione di libertà, come di eguaglianza, sarà sospetta. Né fascisti, né nazisti, né comunisti, ma nuovi europei. Gli europei del XXI secolo.
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