di Angelica Stramazzi

Nel resto d’Europa (e del mondo) si staranno ripetutamente chiedendo, ammesso che in questi paesi qualcuno sia ancora interessato alle vicende politiche italiane, cosa avranno da temere i big del Partito Democratico da una possibile – ed ormai ampiamente annunciata – discesa in campo di Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che ha deciso di sfidare il segretario Bersani alle primarie per la corsa a Palazzo Chigi, una volta che il governo di Mario Monti avrà esaurito la sua (ardua) missione.

Dal giorno in cui Renzi ha infatti deciso di voler, il prossimo 13 settembre, salire a bordo di un camper con l’intento di toccare tutte le province della penisola, nel Partito Democratico si è acuito quell’astio e quel livore che molti nutrivano nei confronti del giovane sindaco, reo, secondo la maggior parte dei maggiorenti democrats, di aver chiesto un ricambio interno della classe dirigente, così come prevede lo statuto dello stesso Pd: limite di tre mandati in Parlamento e fisiologica alternanza tra politici di lungo corso e nuovi arrivati. Una richiesta questa cui più volte non è stato risposto nulla, replicando semplicemente che il futuro politico dell’Italia non può essere ridotto ad una semplice questione anagrafica, per cui chi ha meno anni di chi attualmente siede in Parlamento è automaticamente candidato alla successione e all’entrata nella famigerata stanza dei bottoni. Vero, verissimo: smentire questo assunto significherebbe badare non tanto ai meriti – che, ça va sans dire, non dipendono dall’età ma dall’impegno e dalla passione che ognuno mette in ciò che fa – quanto ad una certificazione anagrafica che di per sé non dice nulla, salvo indicare l’età del soggetto incriminato.

Ai fini della comprensione della diatriba interna tra i big del partito e i “rottamatori” renziani, potrebbe essere utile liberare la scena dalla miriade di dichiarazioni anti-Renzi che si sono succedute nei giorni scorsi, prime fra tutte quelle di Massimo D’Alema e di Rosy Bindi. Quest’ultima in particolare ha evocato un maggior rispetto per chi ricopre incarichi istituzionali – la Bindi è infatti Vice Presidente della Camera – e per la storia del proprio partito di appartenenza, dopo che Renzi aveva ribadito di non voler utilizzare le primarie per ricevere in cambio un ruolo da ricoprire all’interno del suo stesso partito. Ciò che spiazza – e che francamente rasenta l’assurdo – è che il dibattito politico (in questo caso relativo al Pd) debba ridursi a dei lanci d’agenzia in cui gli accusati accusano l’accusatore di non adottare rispetto, educazione e la dovuta riverenza nei confronti di coloro che hanno alle spalle una decennale esperienza nelle istituzioni politiche. Così facendo infatti, si finisce inevitabilmente per incrementare l’abissale distanza tra coloro che verranno e coloro che temono di finire nel dimenticatoio, o quantomeno di perdere posizioni di potere e prestigio acquisite con il passare del tempo.

Verrebbe da chiedersi se scenari del genere si verifichino solo in Italia o se, piuttosto, siano comuni anche ad altri Paesi. Mentre da noi l’avvio della campagna elettorale è (per ora) caratterizzato dallo scambio d’accuse tra il “giovane” Renzi e i “brontosauri” del Pd, in America Paul Ryan si spende per rincorrere un sogno. Quello che, se vincerà Mitt Romney, lo vedrà in prima linea per cercare di cambiare il suo Paese.

 

Commento (1)

  • Kronos
    Kronos
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    Al di la degli “argini” del PD, ma veramente qualcuno può pensare che Matteo Renzi sia in grado di andare all’Estero a difendere gli interessi degli Italiani?? E in caso di crisi mondiale che Carisma può avere per tutelare gli Italiani???? Io non gli affiderei la vita mia e dei miei figli!!

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