di Alessandro Campi

Quanto sta accadendo nel Partito democratico lascia quantomeno sconcertati. Mi riferisco, ovviamente, allo scontro politico che si è aperto al suo interno a causa della decisione di Matteo Renzi di correre per le primarie. Come si giustificano, politicamente parlando, le accuse e le insinuazioni che dai vertici del partito (e dai loro più o meno vicini compagni di strada) stanno piovendo sul sindaco di Firenze?

D’Alema, tanto per non smentire un vecchio tic comunista, secondo il quale l’avversario interno è sempre una quinta colonna del nemico esterno, lo ha accusato di fare il gioco della destra e lo ha invitato a riflettere sul fatto che i giornali che più lo sostengono sono quelli vicini al Cavaliere (non è vero, ma l’accusa fa scena). Rosy Bindi .- che si continua a definire, chissà perché, la “pasionaria”: meglio sarebbe “la confusionaria” – ha detto chiaramente che se dipendesse da lei le primarie non si farebbero proprio (complimenti!). Stefano Fassina, quell’uomo triste che nel Pd si occupa di economia in attesa di diventare parlamentare, giocando d’anticipo già lo scorso giugno aveva dato a Renzi del portaborse e non pare aver cambiato idea ora che quest’ultimo ha deciso di buttarsi nella mischia.

Ma non basta. Debora Serracchiani, europarlamentare, una delle tante felici scoperte di Veltroni (non dimentichiamoci Marianna Madia e Massimo Calearo) ci ha tenuto a far sapere che “Renzi ha già tutto lo staff di Fininvest con sé”: sottile allusione al fatto che è Giorgio Gori, già enfante prodige delle televisioni berlusconiane e fondatore della casa di produzione Magnolia (quella dell’Isola dei famosi, per capirci), il responsabile della comunicazione del sindaco di Firenze. Matteo Orfini, che nel Pd si occupa di cultura e informazione (fortuna!), ha detto che Renzi ha gusti politicamente vintage, da paninaro degli anni Ottanta, per il fatto di presentarsi un po’ troppo come liberale (che con la sinistra, notoriamente, non ha nulla a che fare: per fortuna Bobbio è morto e certe amenità non può più sentirle). Giuseppe Fioroni, già ministro, esponente dell’ala cattolico-democratica del Pd, tra i cui meriti va ricordato di aver fatto eleggere la sua segretaria in Parlamento del 2008, ha invitato Renzi, se intende candidarsi alla primarie, a dimettersi immediatamente dalla carica di Primo cittadino, aggiungendo che sarebbe meglio si occupasse del traffico e dei lampioni della sua città.

Ma non basta ancora. Vendola – che non è del Pd ma un suo alleato alle prossime elezioni – lo ha accusato di essere scontato e ripetitivo (e ovviamente di dire cose di destra): “un juke box ambulante delle banalità” cui piace – scusate la bestemmia – Marchionne. Casini – che non è del Pd ma che potrebbe allearsi col Pd dopo le elezioni – ha detto che se Renzi dovesse diventare Presidente del consiglio non verrebbe preso sul serio dai nostri partner europei (si tranquillizzi, è già successo!).

Il risultato di questo geniale e coraggioso uno contro tutti? Nei sondaggi Renzi sta col fiato sul collo di Bersani. Il che significa che così continuando le primarie potrebbe vincerle a furor di popolo (della sinistra). Ma si può essere più miopi o stupidi (scegliete voi)?

Intendiamoci, la polemica di Renzi contro la nomenclatura della sinistra che con tanta tenacia lo avversa è certo ossessiva, con quel suo continuo invitare alla rottamazione un intero gruppo dirigente: un argomento che in effetti ricorda il “tutti a casa” qualunquista di Grillo. Ma il senso di paura e minaccia che circola tra i dinosauri del Pd (e spesso solo tali, a sentire come ragionano, anche alcuni giovani funzionari e parlamentari) dimostra che essa è fondata. Conferma che in questo Paese nessuno ama sul serio la competizione (l’Italia è una nazione di cooptati) e che in politica le posizioni raggiunte si intendono acquisite a vita. Il merito di Renzi – e la ragione per cui piace trasversalmente, ma soprattutto a sinistra, cosa che nel Pd ancora non è del tutto chiara – è di aver per primo, quasi da solo, posto il problema di una generazione che preme alla porta, che a furia di aspettare la chiamata dall’alto si sta inaridendo, e di un’altra che – visti anche i fallimenti accumulati e le soddisfazioni che comunque s’è cavata – dovrebbe amabilmente farsi da parte, nell’interesse generale.

Se quella italiana fosse una sinistra intelligente, per davvero dinamica e innovativa e non quel museo delle cere che è diventata, tanto conformista sul piano culturale quanto ormai conservatrice sul piano politico sociale, da un pezzo avrebbe preso Renzi per farne la sua carta vincente alle prossime elezioni e per garantirsi così la guida del Paese per i quindici anni a venire. Ma il riflesso autoconservativo del notabilato progressista e l’idea che la politica sia in fondo una carriera amministrativa tra le altre, dove si procede per scatti d’anzianità e promozioni dall’alto, non per merito individuale, idea che accomuna gli ex-comunisti e gli ex-democristiani, impedisce che si faccia ciò che ad un osservatore esterno sembrerebbe normale. Anzi, si fa il contrario: da risorsa da spendere dinnanzi ad un’opinione pubblica esasperata dai partiti d’ogni colore si è trasformato Renzi in un nemico da neutralizzare ad ogni costo.

Non gli si perdona nulla. Lo si accusa di avere una formazione teledipendente, di essere cresciuto con Fonzie e Ufo Robot, di essere insomma un figlio del berlusconismo e del vuoto culturale prodotto da quest’ultimo, dimenticandosi di quando Fassino s’abbracciava con la sua vecchia tata nel salotto di Marta De Filippi, di quando D’Alema cucinava il risotto sotto lo sguardo compiaciuto di Bruno Vespa o del fatto che Veltroni scriverà pure romanzi ma pur sempre sulle figurine Panini si è formato.

Lo si accusa di essere (inconsciamente o inconsapevolmente) di destra, ma questo modo di ragionare, come s’è accennato, è davvero la prova che a sinistra molti ancora non si sono emancipati dai loro vecchi fantasmi. Visto che di recente “l’Unità” ha rispolverato Togliatti tra i padri nobili del Partito democratico, ci manca solo che si dia a Renzi del “pidocchio” o del “verme” (come il Migliore faceva con i traditori della causa) e allora sì che il cerchio della regressione sarebbe perfetto.

Lo si accusa di non avere idee, ma sarebbe bello conoscere prima quelle del Pd, che per bocca di D’Alema dice di voler fare sua integralmente, per il futuro, l’agenda Monti e per bocca di un suo autorevole esponente, Francesco Boccia (l’ho sentito proprio ieri in televisione) dice di voler mettere mano, una volta al governo, al più grande disegno di redistribuzione sociale dai tempi della fine della guerra mondiale (boom!). E quando il povero Renzi le sue idee – che poi altro non sono che quelle tipiche della sinistra liberale altrove regnante nel mondo – le espone, lo si accusa di essere nemmeno un liberale, ma addirittura un liberista selvaggio, un nemico del popolo lavoratore, uno rimasto fermo a vent’anni fa. Il che, detto da nostalgici di Keynes e della socialdemocrazia, fa francamente sorridere!

Lo si è accusato d’infantilismo e provincialismo persino per il suo recente viaggio in America, alla convention dei democratici. Questo furbetto vuole accreditarsi grazie ad Obama! Ci si è dimenticati, ancora una volta, di quando nel 2004 Achille Occhetto faceva salti di gioia per essere stato ammesso a incontrare membri autorevoli della City londinese (ai quali annunciò una vittoria trionfale che poi non ci fu), di Veltroni che in certi momenti della sua vita si è creduto l’avatara dei fratelli Kennedy o di tutte le volte che D’Alema, guidato per mano da Cossiga, si è dimostrato un alleato, come dire?, sin troppo ossequioso degli americani, sia pure per superiori e legittime ragioni di Stato (e che orgasmo quella volta che chiamò Condy, come una vecchia compagna di giochi, la terribile Condoleeza Rice!). Con questi precedenti a sinistra l’americanofilo sarebbe il povero Renzi?

Ma forse la colpa vera di Renzi – al dunque – è di aver preso sul serio lo strumento delle primarie dopo che quest’ultime sono state utilizzate dai vertici della sinistra – da Prodi nel 2005, da Veltroni nel 2007, infine dallo stesso Bersani nel 2009 – come una passerella trionfale, tanto si sapeva già chi avrebbe vinto. Stavolta è diverso, si annuncia una competizione vera, basato a sua volta su una contrapposizione politica reale. E col malcontento e la voglia di novità che circolano nel Paese (anche e forse soprattutto a sinistra) non è da escludere una sorpresa. Ed è questa, soltanto questa, la ragione degli attacchi smodati a Renzi da parte degli oligarchi del Pd: non hanno paura della destra, che nel frattempo s’è affossata da sola, o di Grillo, fenomeno destinato a sgonfiarsi quando si capirà che è soltanto un avventuriero, temono piuttosto di essere spazzati via dai propri elettori e simpatizzanti, e per colpa di un ragazzino petulante, proprio ora che stavano assaporando un trionfale ritorno al potere.

 

Commenti (5)

  • Marco Meloni
    Marco Meloni
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    Renzi è forse l’ultima l’opportunità di chi come me aveva pensato, sbagliando, che la dirigenza PD potesse rinnovarsi da sola (cfr. Veltroni) e anche l’ultima opportunità per il PD, dopo anni di accuse ad un PDL troppo basato sulle persone e poco sulle idee politiche, di dimostrare che il sistema di governance interno funziona e può portare a competizioni vere, pulite, democratiche. Bene speremus.

  • Andrea Mureddu
    Andrea Mureddu
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    Più che altro si tratta del solito scontro tra “personaggi”. Ognuno rappresenta una fazione, ma nessuno ha delle idee chiare su ciò che si debba fare. Il futuro è comunque già scritto: chiunque vinca tra i due, non farà alcuna differenza per il paese.
    Uno scontro tra due masse d’aria, insomma..

  • Eliox
    Eliox
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    Anche Renzi fa parte dei cooptati. Suo padre era un boss locale della DC poi Margherita e la carriera del ragazzo è nata in buona parte per l’influenza paterna.

  • Marco Campione
    Marco Campione
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    Per la precisione, Serracchiani è scoperta di Franceschini e non di Veltroni.

  • ue'
    ue'
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    ‘Giorgio’ Calearo chi sarebbe? Quello squalo si chiama ‘Massimo’

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