di Luca Marfé
NEW YORK – Gli Stati Uniti mai così lontani dal blocco occidentale. Un tempo leader, oggi estranei. In un futuro potenzialmente dietro l’angolo, in parte già presente, persino antagonisti.
L’America di Donald Trump, più che isolarsi, sta ridisegnando lo schema della propria politica estera fino a stravolgerlo del tutto.
E così, mentre divampa l’incendio di una guerra commerciale con la Cina, continua il flirt politico di lunga data con Xi Jinping.
di Luca Marfé

NEW YORK – Gli Stati Uniti mai così lontani dal blocco occidentale. Un tempo leader, oggi estranei. In un futuro potenzialmente dietro l’angolo, in parte già presente, persino antagonisti.

L’America di Donald Trump, più che isolarsi, sta ridisegnando lo schema della propria politica estera fino a stravolgerlo del tutto.

E così, mentre divampa l’incendio di una guerra commerciale con la Cina, continua il flirt politico di lunga data con Xi Jinping. E ancora, mentre riecheggiano parole e immagini di Singapore e del vertice con l’ex nemico giurato Kim Jong-un, è su Helsinki (16 luglio) che sono già puntati i riflettori di un altro summit destinato a entrare di diritto nella storia: quello con Vladimir Putin.

Della Russia (e del Russiagate) è stato detto e scritto di tutto prima ancora che Trump diventasse presidente. Fino ad una Casa Bianca, nuova ma cupa, percepita da molti come all’ombra del Cremlino.

Sono saltati volti e incarichi, sono tuttora in corso indagini perennemente in grado di guadagnarsi le aperture dei giornali e delle agenzie a stelle e strisce. Sono volate parole grosse, sogni di impeachment nonché vere e proprie spallate a danno di un tycoon che sa bene però, forse meglio di chiunque altro, come passare al contrattacco.

Quale occasione migliore, dunque, per rubare di nuovo la scena al mondo intero e per tendere la mano all’uomo più temuto dall’Occidente?

Non è ancora chiaro di che cosa parleranno i due, ma la sensazione più che concreta a queste latitudini è che a Trump non interessi un granché né dei contenuti né dell’agenda.

Ci sono diapositive che, nella sua psicologia e nell’estetica del suo personaggio, valgono più di qualsiasi sostanza. C’è, infine, la consapevolezza che lo scatto della stretta di mano con lo “zar” produrrà di per sé delle conseguenze interessanti: da un lato, renderà ancora più isterici atteggiamenti e commenti di un partito democratico ossessionato dalla sua figura e al tempo stesso incapace di ricomporsi in vista delle elezioni di midterm; e che, dall’altro, confermerà ai fedelissimi di The Donald quella tendenza tanto amata di un’America orgogliosa che, “di nuovo grande”, si siede al tavolo solo e soltanto di altri grandi.

Grandi che, in Europa e in generale in quel G7 che un mese fa ha deciso di snobbare in maniera così plateale, Trump evidentemente non ne vede o comunque non ne vuole vedere più.

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