di Fabio Polese
Domani si svolgeranno le elezioni suppletive in Myanmar e, nonostante siano in palio solamente 45 seggi sugli oltre 1.160 dei tre rami del parlamento, molti indicano questa data come un passo fondamentale verso la democratizzazione del Paese. La forte impronta mediatica voluta dal governo e la massiccia amplificazione dei media di massa, anche grazie alle parole spese dal più alto rappresentante della politica estera americana Hilary Clinton, hanno fatto sì che si parlasse di un nuovo corso per la Birmania. Una Birmania fresca e democratica, capace in poco tempo di cancellare gli orrori della dittatura militare e dei suoi generali assassini ed affaristi. Non è così, purtroppo. Sebbene qualche lieve cambiamento ci sia stato, le elezioni di domani, vengono descritte da più parti come “né libere né eque”. Nei giorni scorsi la Lega Nazionale per la Democrazia (Nld), il partito della Aung San Suu Kyi, ha segnalato evidenti irregolarità nelle liste elettorali. In un comunicato, il Premio Nobel per la Pace ha poi aggiunto: “siamo determinati ad andare avanti perché questo è ciò che vuole la nostra gente”. The Lady, così viene chiamata la San Suu Kyi, si è candidata a Kawhmu, un piccolo distretto vicino a Yangon e la Nld ha denunciato la registrazione nelle circoscrizioni elettorali locali di centinaia di persone scomparse, mentre le milletrecento persone aventi diritto al voto, sono rimaste escluse.
Il dieci marzo scorso (fatto rivelato solamente in questi giorni), l’esercito birmano ha fatto irruzione in un edificio dove si stava tenendo un incontro della comunità cristiana protestante nella cittadina di Matupi, nello Stato Chin, al confine con l’India. Sembrerebbe che i militari abbiano puntato le armi verso i presenti chiedendo di visionare i permessi per lo svolgimento della manifestazione. Ma questo è niente.
Nonostante gli sbandierati negoziati di pace con le diverse etnie, su più fronti continuano i combattimenti a fuoco. Nello Stato Kachin, dove era stata programmata la costruzione della diga idroelettrica di Myitsone, battente bandiera cinese, sembrerebbe che ci sia un continuo aumento di truppe. E sebbene i lavori per la realizzazione di questa diga siano stati “ufficialmente” bloccati dal presidente Thein Sein fino al 2015, molte fonti parlano di ricorrenti disboscamenti per la costruzione di strade per arrivare ai cantieri. Nei giorni scorsi, l’intero villaggio di Tanhpre, che si trova nelle vicinanze del progetto Myitsone, ha subito un vero e proprio sgombero forzato firmato dal vice presidente birmano Thiha Thura Tin Aung Myint Oo. Non a caso il presidente Lu Qizhou della China Power Investment Corporation (Cpi), il colosso multinazionale cinese, in un incontro pubblico ha espresso piena fiducia per una veloce riapertura del cantiere in questione. Anche in diverse zone dello Stato Karen, soprattutto nei dintorni del villaggio di Kay Pu, distretto di Mutraw, sono in atto scontri a fuoco con i soldati birmani. “Che le fasi precedenti la firma di un trattato di pace – scrive in una nota la Comunità Solidarista Popoli, Onlus italiana che ha ufficialmente ricevuto l’incarico dall’Unione Nazionale Karen (KNU) per rappresentarla diplomaticamente presso le istituzioni italiane ed europee – o soltanto di un cessate il fuoco non siano semplici lo si sa da sempre. Ma il fatto che in pieno negoziato le truppe del governo che ha avviato le trattative violino sistematicamente gli accordi presi con la controparte fa pensare ad una scarsa volontà di raggiungere un risultato in tempi accettabili”.
Alla tornata elettorale si presentano 160 candidati in rappresentanza di 17 partiti, fra cui la Nld e lo Union Solidarity and Development Party (Uspd), emanazione della giunta militare. In tutto il Myanmar sono state allestiti 8.324 seggi elettorali. A fronte delle 600 richieste di accrediti della stampa internazionale alle autorità birmane saranno presenti solo 300 giornalisti e, secondo quanto riferito dalla commissione elettorale, i risultati definitivi verranno resi noti entro una settimana. Nel frattempo, il governo birmano, per le elezioni di domani ha invitato gli osservatori dell’Onu, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea per verificare le “corrette” operazioni di voto. Una mossa che gli Stati Uniti, tramite il portavoce Mike Quinlan dell’ambasciata a Yangon ha definito un passo incoraggiante e importante per il processo delle riforme messe in atto dal Paese.
Il presidente Thein Sein vuole far ripartire l’economia del Myanmar aprendo contatti con l’Occidente e per farlo ha bisogno di dimostrare che il suo Paese stia cambiando. Ma l’altra faccia della Birmania, quella che sempre meno viene raccontata dai media, è fatta ancora di attacchi violenti verso i civili e le diverse etnie. E’ quella che detiene il primato nella produzione di anfetamine ed è seconda (dopo l’Afghanistan) per la produzione d’oppio. La società turbo-capitalista nella quale viviamo, dovrebbe prenderne atto. Quelli che vengono chiamati “selvaggi”, quelli che vivono nella giungla e lottano (senza nessuna paura moderna) per la sopravvivenza delle loro specificità, lo hanno capito da un pezzo. Alla faccia del business.
Commento (1)
Fabio Polese » Elezioni birmane, un passo (falso) verso la democrazia.
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