di Luca Marfé
NEW YORK – Il cerchio si chiude, o meglio si riapre: Hillary Clinton «si ricandiderà alla Casa Bianca nel 2020».
Ad affermarlo, in un’analisi che ha mandato in tilt il sito del Wall Street Journal, Mark Penn e Andrew Stein, consiglieri e amici di vecchia data della famiglia Clinton.
Due voci autorevoli, due fonti più che attendibili.
In realtà, la rivincita con Donald Trump è nell’aria già da molto tempo.
di Luca Marfé

NEW YORK – Il cerchio si chiude, o meglio si riapre: Hillary Clinton «si ricandiderà alla Casa Bianca nel 2020».

Ad affermarlo, in un’analisi che ha mandato in tilt il sito del Wall Street Journal, Mark Penn e Andrew Stein, consiglieri e amici di vecchia data della famiglia Clinton.

Due voci autorevoli, due fonti più che attendibili.

In realtà, la rivincita con Donald Trump è nell’aria già da molto tempo. Lo è dalla stessa notte dell’8 novembre 2016. Quella in cui il mondo intero, sconvolto, non riusciva a credere a quanto stesse accadendo e sognava già un finale alternativo, diverso.

Esattamente come in un film. Film che, si sa, piacciono tanto agli americani. Che in particolare adorano i sequel.

Si ricomincia, dunque: Hillary contro Donald.

Uno scenario affascinante, certo. Delizia per qualsiasi analista, addetto ai lavori e finanche elettore, che tornerebbe a farsi coinvolgere con rilanciata passione al centro dell’arena politica.

Non resta che stabilire, però, che cosa rappresenterebbe un progetto del genere per il Partito Democratico statunitense.

Sogno o sequestro?

Rinascita o prigionia?

Il ritorno di Hillary, insomma, potrebbe significare due cose.

Il sogno, appunto, della prima presidente donna di questo Paese. La vittoria di tutte, la storia. L’apoteosi di un percorso, professionale ma soprattutto di vita, fatto di ripartenze, di autentiche rinascite.

C’è un però, ed è il “sequestro”.

I dem, infatti, corrono il rischio di rimanere ostaggio di un cognome, dell’egoismo e delle smanie di vendetta (vanità?) di un singolo. Paradossalmente, proprio alla faccia di tutte le giovani donne, o comunque di volti assai più freschi, che in tanti si sono affrettati a celebrare soltanto pochi giorni fa, all’indomani delle elezioni di midterm. Osteggiate in ogni modo o quasi, “dettaglio” che dettaglio non è, fino ad un attimo prima. Per capire, basta tornare alla voce Bernie Sanders.

A voler tirare le somme, dunque, Hillary 2020 potrebbe essere l’epilogo che a sinistra avevano immaginato come prosieguo meritato, giusto e addirittura naturale dell’era Obama.

O, viceversa, la negazione di quello stesso riformismo di cui da sempre i democratici sono fieri di fregiarsi. L’ennesima vittoria, cioè, della casta sugli attivisti che si fanno in quattro casa per casa. La controprova che ancora oggi, nel 2018, esista un’America piccola ma potentissima che continui a credere nel fatto che la politica sia una faccenda riservata a poche famiglie.

Una sorta di gigantesca sconfitta. Non tanto per l’unica persona che poteva uscire sconfitta dalle presidenziali del 2016. E che ha più scheletri che armadi.

Ma per la metà di un Paese e per l’intero di un partito che meriterebbero, forse, di voltare pagina per davvero.

 

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