di Daniela Coli
Le serie televisive americane raccontano di persone che interagiscono in un ambiente (case, scuole, ospedali, uffici di polizia, di avvocati, di pubblicitari, etc.) e con cui gli spettatori possono identificarsi. Le tv italiane ne hanno trasmesse varie e da quando Sky è arrivata in Italia sul canale Fox abbiamo fiction seriali americane di ogni tipo, dai medici di Grey’s Anatomy a Sleepy Hollow, un riadattamento moderno del racconto Sleepy Hollow di Washington Irvin del 1820. In questo caso si tratta di leggende, come quella del Cavaliere senza testa, che risalgono alla guerra d’indipendenza statunitense per un pubblico di nicchia soprattutto americano, affascinato da queste storie.
La recente True Detective non interessa per il thriller – banale rispetto a film come Seven (1995), con la coppia di detective Morgan Freeman e Brad Pitt alle prese col maniaco religioso Kevin Spencer in una New York agghiacciante – ma per la Louisiana, l’ex-colonia francese sul Golfo del Messico, dove si parla spagnolo e inglese, con una vegetazione da sud-est asiatico, che davvero pare strappata alla giungla, come dice il detective Rustin Cohle. È una delle tante Americhe dell’America dei frammenti e delle contaminazioni culturali di ogni tipo, con città come New Orleans con un mix culturale di influenze africane, indiane, cajun e creole. Carcosa (dalla francese Carcassone, Carcaso in latino), città immaginaria di storie horror di scrittori come Ambrose Bierce, Robert Chambers, Howard P. Lovecraft, è la parola chiave di True Detective, l’inferno dove per anni, con la complicità di politici e poliziotti locali, sono avvenute stragi di adolescenti abbandonate da coppie sfasciate e di ragazzini di povere famiglie della costa rapiti, violentati e uccisi. L’America del degrado estremo, delle sette religiose e delle numerose gang. I monologhi del detective Rustin Cohle (Matthew McConaughey), che alla fine dice sarebbe stato più adatto a fare lo storico o il filosofo, sembrano il commento di un documentario sull’Apocalisse.
Il declino è presente anche in House of Cards, un political drama nel cuore Casa Bianca, tratto dal romanzo di Michael Dobbs e mandato in onda dalla Bbc negli anni ’90, che descrive la crisi della democrazia statunitense, affrontata anche in libri come Machiavellian Democracy di John P. McCormick nel 2011.
Con Homeland il pubblico europeo può invece assistere, in contemporanea agli States, alle operazioni della Cia “in diretta”. La serie trasmessa dal 2011 al 2013, iniziata nell’ottobre 2011, mentre si stava completando il ritiro dall’Iraq, affronta la crisi americana attraverso il marine Nicholas Brody (Damian Lewis), rilasciato da al-Qaida dopo anni di prigionia. Un eroe per gli Usa che tanto hanno bisogno di eroi dopo la guerra contro il terrorismo in un paese dove non esisteva terrorismo. Una guerra persa fin dall’inizio per il generale Daniel P. Bolger, autore di Why We Lost: A General’s Inside Account of the Iraq and Afghanistan Wars, recensito su Asia Times da David P. Goldman, esperto britannico di Medio Oriente. Il libro, uscito questo novembre, ha fatto molto discutere negli States, perché dimostra che le elezioni in Iraq, festeggiate dai media occidentali come grande vittoria della democrazia, non potevano avere altro risultato del successo della maggioranza sciita, spingendo i sunniti alla ribellione per paura di finire vittime di un genocidio. Bolger è critico di Petraeus, che ha sostenuto Maliki, alimentando la resistenza sunnita. Per Bolger è Petraeus ad avere creato lo Stato Islamico d’Iraq e Siria (Isis), finanziando i sunniti, e ad aver poi dato soldi a tutte le parti in gioco in Iraq. Mentre l’impero britannico giocava a far combattere i diversi gruppi etnici e religiosi tra loro per conquistare un paese e mantenere il potere, gli Stati Uniti armarono tutti e si ritirarono. Gli sceneggiatori di Homeland hanno presente il disastro dell’Iraq, che doveva cancellare il Vietnam. Il marine Brody, che ritorna dopo essere stato per otto anni prigioniero di al-Qaida, sembra la copia di John McCain, prigioniero dei Vietcong per sei anni, l’eroe della “dirty war”. Brody viene subito eletto deputato al Congresso e si pensa anche a lui alla Casa Bianca. Ma Brody non è McCain, in prigione è cambiato e ha stretto un patto con Abu Nizar, un leader mujaheddin che ha combattuto i sovietici e gli americani e lo ha trattato bene, chiedendogli solo di insegnare l’inglese al figlio Isa. L’uccisione di Isa e di ottantaquattro bambini iracheni in una scuola colpita da un missile lanciato per uccidere Abu Nizar, un’operazione ordinata dal vicepresidente Walden, molto simile a Dick Cheney, e la negazione della strage da parte degli Stati Uniti, spingono Brody a una scelta assoluta. Il marine – soldato di un corpo la cui lealtà agli States è celebrata da ogni puntata di Ncis dal 2003, anno d’inizio della guerra in Iraq – rompe con gli States e decide di tornare in America per uccidere il vicepresidente. Se Brody rappresenta la rivolta assoluta di un soldato statunitense contro l’America del Nord, l’agente Cia Carrie Mathison (Carrie Danes) è disposta a tutto per difendere il proprio Paese e sospetta che Brody sia tornato per compiere un attentato. L’agente Cia spia il marine, ci va a letto per sedurlo, lo fa sottoporre al poligrafo, ma Brody è un osso duro. Carrie è diversa dal suo mentore, Saul Berenson, un ebreo che preferisce altri metodi.
Come accade spesso nelle ultime serie americane, dove le eroine sono vittime di disturbi psichici – Carrie Wells di Unforgettable soffre di ipertimesia, una malattia per cui ricorda ogni dettaglio biografico, e Sonia Cross di The Bridge è autistica – Carrie soffre di disturbo bipolare e perde facilmente il controllo. Il piano di Brody di uccidere il vicepresidente e far saltare il Congresso fallisce, non viene scoperto, ma il video suicida registrato per rivendicare l’attentato viene ritrovato a Beirut da Saul Berenson, il direttore della Cia. Mentre la Cia vorrebbe eliminare il marine, Carrie decide di salvarlo per farne un agente doppio allo scopo di catturare Abu Nizar e usarlo contro l’Iran. Dopo un attentato commesso dai servizi segreti iraniani durante il funerale del vicepresidente, i media diffondono il video suicida di Brody, che non ha più vie d’uscita. Entra allora in scena l’Iran e gli sceneggiatori attingono a piene mani da Amici assoluti di John Le Carré con l’amicizia tra l’ebreo Saul e la super-spia iraniana Javadi, conosciuta a Teheran negli anni ’70 e poi passata alla rivoluzione di Khomeini. Brody viene condotto al confine iracheno e fatto catturato dagli iraniani. Si accusa dell’attentato e chiede asilo politico in Iran, mentre Javadi, d’accordo con la Cia, lo porta a Teheran per eliminare il capo della Guardia Rivoluzionaria Akbani, un uomo di Ahmadinejad, e il marine esegue l’ordine. Telefona a Carrie a Teheran per chiedere aiuto, lei gli confessa di aspettare un figlio da lui, però la Cia ha deciso di scaricare Brody e farlo arrestare dagli iraniani per rendere più credibile l’amico di Saul, Javadi, adesso capo dei servizi segreti iraniani. Brody viene infine impiccato e Carrie, che l’ha mandato a uccidere e morire, piange disperata nel vederlo soffocare: forse un effetto del disturbo bipolare, forse una metafora degli Stati Uniti.
Il fascio-di-nervi Carrie che si ingozza di psicofarmaci e conta molto sulla lingerie è l’agente Cia più amato degli Stati Uniti e dal presidente Obama, spettatore appassionato di varie serie tv. La stagione della morte di Brody è stata trasmessa nel settembre-dicembre 2013 e nel giugno 2013 Rohani ha vinto le elezioni, sconfiggendo Ahmadinejad. Nel dicembre 2013 il pubblico americano può piangere Brody, perché è comunque morto per gli States, favorendo l’elezione di Rohani. Se Obama farà qualche accordo con l’Iran, gli americani penseranno che l’Iran, dopo Carrie e Brody, non è più il paese del male assoluto.
La quarta stagione di Homeland, cominciata questo ottobre, ci presenta Carrie intenta nel lanciare droni dall’Afghanistan per uccidere capi talebani afghani rifugiati in Pakistan. Il Pakistan ha protestato spesso per violazioni della sovranità e contro il lancio di droni dalla base americana di Shamsi. I rapporti US con i pachistani sono sempre stati tesi, considerati doppiogiochisti e denunciati dopo Abbottabad come protettori di bin Laden e di santuari talebani. Il confine tra Afghanistan e Pakistan è vago per la linea Durand, stabilita nel 1853 dall’impero britannico, e finora i due stati si sono reciprocamente accusati di proteggere i talebani. Homeland è iniziato ad ottobre con Carrie regina dei droni in Afghanistan, mentre Obama negoziava col nuovo presidente afghano Ghani per lasciare diecimila soldati a Kabul con immunità giuridica e libertà militare. L’agente Cia si è precipitata subito in Pakistan e si è insediata a Islamabad, ma dopo sette puntate l’unico risultato è stato fare uccidere un innocente studente pakistano, parente di Haqqani, il leader mujaheddin capo di una vasta rete di combattenti, contro il quale Obama, come riporta il New York Times del 21 novembre 2014, ha deciso attacchi di aerei e droni seguendo le indicazioni dell’intelligence.
Homeland diventerà ancora più interessante e ancora più seguita dal pubblico americano, in attesa di qualche siparietto tra Carrie e Potus. Per ora, nella fiction, la Cia in Afghanistan e in Pakistan è nel caos totale. Dal 2010 con Petraeus si è militarizzata, uccide, ma non costruisce reti di intelligence, anzi. Secondo un’analisi di Spencer Ackerman pubblicata il 24 novembre 2014 dal Guardian, neppure riesce a eliminare gli obiettivi. I droni, per Ackerman, sono un’arma inefficace e pericolosa perché, in media, per colpire 41 uomini ritenuti terroristi hanno ucciso 1.147 civili, spesso senza riuscire a centrare l’obiettivo. Molti obiettivi americani, per i quali sono stati fatti raid per due o quattro volte, uccidendo centinaia di civili, sono ancora vivi. Le prime sette puntate di Homeland mostrano tutta la fragilità dell’impero americano. Carrie dall’Afghanistan uccide quaranta persone a un matrimonio in Pakistan per eliminare Haqqani, che però non era presente. Il capo della Cia in Pakistan, massacrato dalla folla di Islamabad mentre Carrie arriva dall’Afghanistan, le passa le coordinate dei rifugi dei nemici da colpire, ma ottiene, come ne La talpa di John Le Carré, informazioni errate, vendendo in cambio segreti di stato con la complicità del marito dell’ambasciatrice americana a Islamabad. La Cia e l’ambasciata americana in Pakistan sono alla mercé dei mujaheddin e degli agenti antiamericani dei servizi segreti pakistani, che con i tradizionali metodi delle spie riescono a rapire Saul, l’ex direttore della Cia, e a farlo diventare lo scudo umano di Haqqadi. Mentre Carrie esce di senno perché il marito dell’ambasciatrice ha alterato i suoi psicofarmaci e gira allucinata per Islamabad, Saul si accorge quanto siano forti tra i pakistani l’appoggio a Haqqani e l’ostilità agli americani. E’ eloquente uno scambio di battute tra Haqqani e Saul, il quale dice al capo talebano che dopo il 9/11 gli States sono stati costretti a invadere l’Afghanistan, perché proteggevano Bin Laden. Haqqani risponde: “Bin Laden era saudita e quindici attentatori del World Trade Center erano sauditi, perché non avete invaso l’Arabia Saudita?” La risposta dell’ex direttore della Cia è formale, perché è noto l’appoggio finanziario dell’Arabia Saudita, il miglior alleato americano in Medio Oriente, ai talebani e alla scuole coraniche. È inoltre noto come la Francia, alleato Nato degli Stati Uniti, ma schierata contro l’intervento in Iraq, sostenga l’Arabia Saudita, ritenuta anche finanziatrice dell’Isis, l’organizzazione terroristica con tanti combattenti britannici e francesi di origine araba. Con la recente decisione di Obama di restare in Afghanistan a combattere talebani e Isis, mentre il Regno Unito ha da tempo ritirato tutte le truppe, il Medio Oriente e l’Asia diventano scacchiere imprevedibili. Homeland finirà in dicembre e chissà quale svolta prenderanno le prossime puntate col network di Haqqani nel mirino degli States. Mentre il capo della Cia a Islamabad Carrie è preda di allucinazioni e l’ambasciata americana è allo sbando, Henry Kissinger, intervistato da Der Spiegel (13 novembre 2014) deplora l’ordine mondiale dell’ impero globale americano e suggerisce addirittura di tornare a Westphalia. Ma ora Carrie dovrà fronteggiare il network di Haqqani e Isis e chissà come finirà Enduring Freedom, definita da uno storico britannico, quando iniziò nel 2001, la guerra del Peloponneso degli Stati Uniti.
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