di Mauro Zampini
Sulla questione del numero dei parlamentari rischia di giocarsi la possibilità di formare un governo, addirittura la prosecuzione di una legislatura, gracile e malandata, ma ancora nella sua prima infanzia. Ed è, oltre che un rischio, un paradosso: perché la categorie non sono riducibili a quelle di un “sì” o di un “no”, ad un semplice taglio lineare che non affronta nessuna delle questioni vere del tema. I costituenti non hanno scelto un numero a caso per definire la composizione delle Camere, come nulla di quello che hanno fatto o scritto è stato casuale. Né hanno, come sembrano proporre quelli che nel deserto della semplificazione populista sembrano i più riflessivi, sorteggiato un numero tra quelli che compongono il parlamento francese o tedesco, o addirittura nordamericano: trascurando il tipo di sistema istituzionale, la solidità, anche temporale, di una democrazia, eventuali precedenti di interruzione delle garanzie democratiche, la stessa morfologia di un territorio. Sì, anche quella va considerata: la rappresentanza di un paese a forma di stivale bislungo ha altre esigenze rispetto a quella di territori compatti come quello iberico, o tedesco, o francese.
Un procedimento complesso, quindi. Ma non basta: poi, quale funzione devono svolgere, questi parlamentari? Quale tipo di rappresentanza devono assicurare, agli elettori, quella di una democrazia delegata o, secondo un vezzo del momento, di una democrazia diretta, che fa di deputati e senatori dei semplici portavoce di volontà e decisioni in cui non hanno alcun ruolo sostanziale? E da noi, oltre a questa non sottovalutabile differenza, la funzione legislativa la consideriamo ancora, come vuole la costituzione, funzione parlamentare? O, come abbiamo spesso constatato, oramai acquisizione governativa, per cui deputati e senatori sono dei semioccupati che timbrano leggi recapitate direttamente da palazzo Chigi, quando va bene? Come retribuirli: come dirigenti dotati di responsabilità, o impiegati di concetto, inteso come categoria burocratica senza il contenuto del termine? O lavoratori manuali, tra gli specializzati e quelli generici? E, sia che rappresentino autorevolmente gli elettori o ne rechino passivamente i desideri e le proposizioni, devono essere scelti dagli stessi elettori o da piccole oligarchie irresponsabili, spesso nemmeno di eletti, ma in realtà oggi i veri ed unici rappresentati dai parlamentari? Può servire, a illustrare gli obiettivi dei tagliatori parlamentari, l’obiettivo manifestato orgogliosamente dal ministro bifronte Fraccaro, metà ministro di questo sistema, metà proiettato verso forme di democrazia diretta spinte: con questa “riforma”, tornano a casa un terzo dei fannulloni di queste camere? E’ un calcolo indicativo, o fannulloni è la definizione dei parlamentari delle nostre camere?
I quesiti sono appena agli inizi, sono dolorosi e ci limitiamo a questi. Davvero si può pensare di definire il numero dei nostri parlamentari in questo modo primitivo e semplificatorio? Non sarebbe meglio, ove si ritenesse di affrontare il tema del parlamento del terzo millennio, lavorare tutti assieme almeno su questo, maggioranza e opposizione, per la democrazia, che non ha maggioranza e minoranze, ma è patrimonio dell’intero paese e dell’intera categoria di chi lo rappresenta?
In realtà, il vero quesito è un altro, e postula la maggiore onestà, quella autentica, di tutta la comunità politica. Serve davvero una cosa chiamata parlamento, oggi, o è una inutile e costosa (il dente batte sempre lì) sovrastruttura priva di funzione? E, in questi termini, la questione non tocca la prerogativa del presidente della Repubblica italiano ,garante della Costituzione e del suo rispetto, fino a quando il testo rimane questo?
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