di Corrado Ocone
Lo aveva intuito già Alexis de Tocqueville in pieno Ottocento: il dispotismo dei tempi futuri si sarebbe potuto presentare col volto buonista e suadente di chi dice di lavorare per il nostro bene e per la nostra felicità. E poiché il benessere non è solo quello della mente, ma anche quello del corpo, l’ideologia salutista sembra prestarsi molto bene alla bisogna.
È questa la prima impressione che suscita la notizia, che sembra quasi surreale, che giunge dall’ONU e dall’Organizzazione mondiale della sanità, accreditate istituzioni che starebbero per scatenare una vera e propria guerra contro alcuni prodotti tipici dell’industria agroalimentare italiana. Lo scopo “nobile” sarebbe quello di eliminare dalla dieta grassi, sali e zuccheri, in modo da diminuire sensibilmente diabete, cancro e malattie cardiovascolari. Il parmigiano reggiano sicuramente, ma forse anche il prosciutto di Parma, l’olio, la pizza e il vino, sarebbero le vittime eccellenti di tanto zelo: per essere commercializzati, questi prodotti dovranno forse presto recare sull’etichetta diciture catastrofiste tipo quelle che attualmente si trovano sui pacchetti di sigarette. Chi consuma questi prodotti, come chi fuma, sarebbe di fatto additato alla società come una persona strana e poco raccomandabile, da evitare nelle occasioni conviviali.
Ora, che i cibi suddetti facciano male, è da un punto di vista scientifico quanto meno discutibile. Sicuramente è in contrasto con quanto, in altre occasioni, hanno affermato illustri dietologi sulla bontà della dieta mediterranea. I prodotti di una cucina come la nostra, che è anche il portato di una cultura statificatasi nei secoli e che col tempo è diventato uno stile di vita, si caratterizzano per l’origine controllata e “naturale”, per l’attenzione quasi maniacale che i nostri produttori riservano ancora oggi (e forse più di un tempo) a tutta la filiera produttiva. È forse un caso che, anche grazie a un regime alimentare che ha al centro i prodotti ora incriminati, la longevità degli italiani sia una delle più alte al mondo?
Restando sempre su questo terreno, altri illustri clinici sostengono non da oggi che il segreto di una buona dieta, oltre che alla qualità dei prodotti, è dovuta soprattutto alla loro varietà, cioè proprio a quella diversificazione biologica o “biodiversità” che un’ideologia uniformante come quella salutista vorrebbe quanto più possibile eliminare (se non altro per avere maggiormente sotto controllo, e eventualmente sanzionare, ciò che mettiamo sul nostro tavolo).
Il sospetto è che, dietro decisioni di questo tipo, si celino corposi interessi commerciali (una guerra dei dazi continuata con altri mezzi) che gettano purtroppo benzina sul fuoco di quelle ideologie cospirazioniste e antiscientifiche che hanno corso nei nostri giorni. Le quali, senza dubbio deleterie, sono a ben vedere l’altra faccia del processo di medicalizzazione astratta e integrale di tutta la società. Pur senza insistere troppo sui contenuti del provvedimento in gestazione, è tuttavia evidente che il salutismo, dietro una facciata suadente, sia di fatto un’ideologia invadente e pervasiva, che cancella ogni distinzione fra la sfera pubblica e quella privata, togliendo all’uomo il diritto a fare della propria vita ciò che vuole nella misura in cui ciò non sia di ostacolo alla uguale libertà degli altri. Essa è anche un momento di quel processo di giuridicizzazione del sociale che, in nome di presunti “diritti positivi”, volendo tutto normare e regolare, contrasta di fatto la libertà umana. La quale teoricamente, come ben sapeva John Stuart Mill, è anche quella di farsi del male o di perseguire la propria “infelicità”.
Si tratta di un’ideologia astratta, di stampo utilitaristico e positivistico, che nella fattispecie, in nome di discutibili standard, mostra di avere una concezione povera e meschina del benessere umano. C’è qualcosa di più appagante, ad esempio, di una calibrata bevuta di vino fra amici? Discutibile è anche l’idea sottesa che la malattia sia qualcosa di “anormale”, e non un elemento della condizione umana che vive in una tensione dialettica, e sempre storicamente diversa, con il suo opposto, con la salute appunto. Essa, come i virus, va tenuta sotto controllo, con sagacia e con sapienza, anche in modo omeopatico (come fanno i vaccini con i virus). Proporsi semplicemente di estirparla, in una sorta di “giacobinismo sanitario”, è un progetto assolutamente assurdo: con essa si estirperebbe anche la vita umana, il cui benessere non può essere trattato alla stregua del benessere di una pianta o di un animale.
È vero che organizzazioni burocratiche costosissime ed elefentiache come quelle che stanno per patrocinare la messa al bando del parmigiano e di altri prodotti nostrani hanno necessità di preservarsi e autoalimentarsi, di giustificare con l’attivismo la loro esistenza (è la “legge aurea della burocrazia” di cui parlava fra gli altri Vilferedo Pareto. È pur vero tuttavia che il fatto stesso che una iniziativa del genere possa essere anche solo concepita con la speranza di avere successo mostra il livello preoccupante di ignoranza a cui sono giunte le nostre società. Ma mostra soprattutto come non sia lecito meravigliarsi più di tanto della rivolta delle masse contro le élite e le competenze. Questa ribellione fa il paio infatti col “tradimento” di queste ultime, con la messa in scacco patrocinata da funzionari cosmoliti come quelli dell’ONU e dell’OMS di quella saggezza pratica che ha fatto grande, e più umana di altre, la nostra civiltà.
*Articolo apparso su ‘il Mattino’ del 19 luglio 2018
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