di Andrea Beccaro
L’estate 2012 – la prima, dal 2003, senza la presenza americana – si è dimostrata per l’Iraq estremamente complessa, sanguinosa e interconnessa sia allo sviluppo recente dei problemi iracheni sia ai problemi regionali (in particolare con il conflitto siriano).
Dal punto di vista politico persistono i problemi di legittimità del primo ministro Nuri al-Maliki, che fatica a tenere sotto controllo sia la sua coalizione di governo sia le spinte indipendentiste curde. In questo frangente un ruolo non secondario continua a giocarlo il petrolio, dal momento che Baghdad viene costantemente accusata dai curdi di non pagare il prezioso liquido estratto, mentre il governo centrale è sempre più preoccupato dei contatti, e dei contratti già firmati, che le autorità curde stanno avendo sia con la Turchia, per esportare da lì l’oro nero, sia con compagnie straniere per lo sfruttamento dei giacimenti curdi. In entrambi i casi i proventi non andrebbero a Baghdad, ma al governo curdo con ovvie ricadute sulla stabilità interna del paese e sui buoni rapporti tra curdi e iracheni. Su questo aspetto però va fatta anche un’altra riflessione. Non è un segreto che i curdi mirino a istituire nella regione uno stato indipendente, il Kurdistan, che racchiuda in sé il popolo curdo attualmente sparso in quattro stati (Turchia, Iraq, Siria e Iran), ma è quanto meno singolare che ora preferiscano trattare con la Turchia, un paese che, da sempre e anche negli ultimi anni, non ha mai lesinato atti di forza (con aviazione, artiglieria e addirittura interventi con truppe di terra) per colpire villaggi o basi curdi legati in qualche modo al movimento indipendentista e al gruppo del PKK, piuttosto che cedere alle richieste di Baghdad.
I problemi di stabilità interna si sono manifestati anche in altri modi, ovvero in quelli ormai tipici del teatro iracheno: autobombe, IED e attacchi suicidi. Ad esempio il 13 giugno una serie di 10 diversi attacchi, di cui il più sanguinoso è avvenuto nella città di Hilla causando la morte di 20 persone circa, ha preso di mira in particolare i pellegrini sciiti. Le vittime totali sono state ben 93. Pochi giorni più tardi, il 16 giugno, due autobombe a Baghdad hanno causato 32 vittime sciite che stavano commemorando l’imam Moussa al-Kadhim, uno dei 12 imam più venerati dagli sciiti. Molti di questi attacchi sono stati rivendicati dalla rete di al-Qaeda in Iraq.
Luglio non si è aperto in modo migliore e il 3 una serie di esplosioni in tutto il paese ha causato la morte di 37 persone. Ma il giorno che meglio di qualunque altro testimonia la situazione drammatica che sta vivendo l’Iraq è il 23 quando si sono contati ben 35 diversi attacchi in sette province irachene che hanno causato la morte di 123 persone e il ferimento di 263. È stato l’attacco più sanguinoso dal ritiro americano e testimonia della varietà di modalità d’attacco utilizzate in Iraq: dagli IED, alle autobombe, dagli attacchi con mortai, agli scontri a fuoco. Una varietà simile, e il fatto che la violenza abbia colpito svariate aree del paese, testimonia la facilità di movimento degli irregolari iracheni e le loro ottime capacità operative. Tanto che il mese di luglio ha contato ben 325 vittime, almeno secondo i dati del ministro degli interni, il che fa del luglio 2012 il mese più sanguinoso dall’agosto 2010. A giudicare dagli eventi dell’agosto 2012, è difficile anche credere che si tratti di un caso isolato: il 17 si è registrata un’altra ondata di attacchi in sei diverse località che hanno causato 80 morti circa.
Oltre a questa violenza di massa, va poi registrata quella più selettiva che prende di mira esponenti delle forze di sicurezza irachene, dei partiti politici o elementi religiosi. Il 30 giugno, ad esempio, sono stati uccisi alcuni leader dell’Awakening Council; il 4 luglio 3 ufficiali di polizia e un membro del parlamento sono rimasti uccisi in tre diversi attentati. Il 28 agosto, in un attacco a un convoglio militare in cui sono morti 9 soldati iracheni nei pressi di Baghdad, è rimasto ucciso anche un colonnello. Guardando i fatti in una prospettiva di più lungo periodo, possiamo affermare che la violenza sia in crescita, così come le capacità operative di Al-Qaeda in Iraq e dei gruppi collegati in grado di portare a termine un attacco complesso a un ritmo di 6 settimane circa.
Infine, un ultimo aspetto da considerare di questa calda estate irachena è il rapporto con il conflitto in Siria. Nel corso degli ultimi mesi diversi punti sul confine tra i due paesi sono passati di mano, ovvero dal controllo governativo siriano a quello dei ribelli il che ha facilitato le infiltrazioni dei combattenti dall’Iraq alla Siria, in un movimento esattamente contrario a ciò che avvenne durante la guerra in Iraq. Inoltre, in alcune aree, il confine è in mano ai curdi: da un lato i peshmerga iracheni e dall’altro i curdi del PYD, il partito democratico curdo siriano.
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