di Chiara Moroni

Dopo aver abdicato il proprio ruolo ad un governo di tecnici, la politica di destra, di sinistra e di centro – tutta ugualmente certa che solo chi non dovesse ottenere un consenso politico avrebbe potuto assumere decisioni difficili e punitive per i cittadini di tutte le categorie sociali e professionali – è ferma, probabilmente, in attesa che il tempo permetta di cancellare nella memoria di elettori e simpatizzanti gli errori e le miserie di una politica allo sbando.

I partiti si osservano reciprocamente, tra lotte intestine, correnti in competizione e dubbi esistenziali. In definitiva le forze politiche non sanno ancora come affrontare la platea di elettori, ma soprattutto non sanno quali risposte dare alle richieste e ai bisogni concretissimi dei cittadini.

In questo clima generale, nel quale dal Presidente della Repubblica al cittadino che discute al bar, tutti chiedono alla politica un radicale cambiamento di rotta, il Partito Democratico, tra una polemica interna e l’altra, ci invita a valutare la propria proposta ideale e politica, diffondendo un documento, una Carta d’Intenti dal titolo un po’ scontato “Per il cambiamento e la ricostruzione”. In questo documento definito “un patto dei democratici e dei progressisti” in dieci sintetici punti di berlusconiana memoria, la principale forza di centrosinistra tenta di mettere sul tavolo del consenso pubblico un impegno a perseguire quei cambiamenti culturali, politici e di governo di cui l’Italia certamente non può più fare a meno.

La prima reazione – di un osservatore esterno e neutrale – a questo documento è la più ovvia delle domande, forse retorica: “Dov’erano questi uomini politici che si autodefiniscono e si identificano come progressisti quando potevano attuare concretamente un cambiamento, necessario da decenni, e non l’hanno voluto o saputo fare?”. Gli uomini che lo propongono oggi sono i medesimi che hanno fallito ieri, come medesimi sono gli strumenti e le procedure istituzionali. Al contrario, ciò che è cambiato è l’intensità e la gravità dei problemi e delle questioni da risolvere. Allora perché dovrebbero saper e poter fare nel 2013, se non hanno ottenuto alcun risultato fino al 2010, anzi hanno lasciato il campo, rinunciato, abdicato?

Tra tutti i temi declinati nel documento, il punto più incredibilmente surreale è proprio l’ultimo, nel quale a chiosa di una generica proposta politica, i democratici e i progressisti esplicitano una questione che loro sembrano scoprire e sostenere oggi, tanto da avvertire la necessità di stringere su di essa un patto, di impegnarsi per iscritto, esplicitamente e pubblicamente su qualcosa che in realtà non è la nuova cartina di tornasole della politica italiana, ma da sempre il fondamento etico indispensabile per colui che vuole occuparsi e curare l’interesse generale, la cosa pubblica: la responsabilità.

Si legge nella Carta d’intenti “L’Italia ha bisogno di un governo e di una maggioranza stabili e coesi. Di conseguenza l’imperativo che democratici e progressisti hanno di fronte è quello dell’affidabilità e della responsabilità”. Per questa ragione, chiedono a tutti quei movimenti, associazioni, liste civiche, singole personalità e cittadini, che verranno chiamati a stringere un patto di governo, di assumere “insieme, dinanzi al Paese, alcuni impegni espliciti e vincolanti”.

Tali impegni sono declinati in cinque azioni “sostenere, affidare, vincolare, assicurare e appoggiare”: “sostenere in modo leale e per l’intero arco della legislatura l’azione del premier scelto con le primarie; affidare a chi avrà l’onere e l’onore di guidare la maggioranza, la responsabilità di una composizione del governo snella, sottratta a logiche di spartizione e ispirata a criteri di competenza, rinnovamento e credibilità interna e internazionale; vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta; assicurare il pieno sostegno, fino alla loro eventuale rinegoziazione, degli impegni internazionali già assunti dal nostro Paese o che dovranno esserlo in un prossimo futuro; appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico economico federale dell’eurozona”.

La politica è innanzitutto assunzione di responsabilità, individuale e collettiva, impegno per garantire affidabilità e continuità nell’azione di governo il quale, a sua volta, deve avere solo un fine: la difesa, il sostegno e la promozione del comune benessere sociale, culturale ed economico.

Questa è la Politica, scevra da tatticismi, interessi particolari quando non individuali, meri giochi di potere ed espressione di sterili rapporti di forza.

Una delle principali forze politiche italiane ha sentito la necessità di riaffermare e di impegnarsi pubblicamente affinché sia chiaro che la loro futura – e si sottolinea futura – azione politica ed eventualmente di governo sarà supportata dalla responsabilità e dall’affidabilità. Questo non fa che rafforzare l’idea generale di uno stato profondamente depresso della qualità di chi fa e pensa la politica in questo nostro Paese. Che il rinnovamento politico passi attraverso l’affermazione di un principio talmente ovvio da essere il fondamento stesso della politica, è solo l’ennesimo segnale della terribile condizione in cui versa il sistema politico italiano.

 

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