Alessandro Campi, Il fantasma della nazione. Per una critica del sovranismo, Marsilio, Venezia, 2023, pp. 208
di Maurizio Stefanini
Tornare al senso delle istituzioni della Destra Storica e al realismo riformista di Prezzolini: in un’Italia dove è ora al potere il governo più a destra di tutta la storia repubblicana, è questo il consiglio che viene da un intellettuale storicamente di destra come Alessandro Campi (nella foto, in basso) nel suo ultimo volume intitolato Il fantasma della nazione.
Docente di Storia delle dottrine politiche, Scienza politica e Relazioni internazionali all’Università di Perugia; editorialista di vari quotidiani; direttore del trimestrale “Rivista di Politica”, Campi è autore di saggi e curatore di antologie su autori come Raymond Aron, Julien Freund, Carl Schmitt, Machiavelli e Mussolini. Un suo curioso hobby, anzi, è comprare libri di Machiavelli tradotti in tutte le lingue in ogni paese dove va. È, insomma, un pensatore che si schiera a destra, dai tempi in cui la destra in Italia era assolutamente marginale. Ma proprio per questo adesso non ha intenzione di fare il mero celebratore, e cerca invece di mettere a fuoco i problemi. “Quello avvenuto in Italia con l’ascesa al potere dei nazional-populisti”, ricorda, è “un mutamento che sembra inscriversi in un movimento della storia che, dopo gli eccessi di euforia post-nazionalista degli ultimi decenni, vede la nazione nuovamente al centro della dinamica politico-sociale contemporanea”. Con questo movimento storico bisogna fare i conti: “non basta stigmatizzarlo alla stregua di un fenomeno regressivo sulla strada dell’unificazione del mondo in chiave politico-morale”.
Motivo di più, però, per ricordare quanto la destra italiana sia stata spesso incapace di tradurre il suo sedicente patriottismo in un progetto politico concreto, preferendo piuttosto abbandonarsi a nostalgici elogi della grandezza passata, disancorati da un disegno comunitario convincente. E dei tre versanti in cui questa destra si articola, quello della Lega è stato addirittura separatista e antinazionale, in nome del sogno di una nazione diversa da quella italiana. Fratelli d’Italia è erede di un mondo post-fascista che a lungo coltivò una pericolosa sindrome da stranieri in patria. chiave puramente retorica, strumentale. “Forza Italia” è una formula da tifo sportivo che Silvio Berlusconi ha scelto come nome del suo partito personale d’impronta ultra-liberista.
Risultato: “ancora oggi in Italia la nazione è un concetto problematico e debole, che fatica a trovare una sua declinazione politica efficace e funzionale, il che spiega perché, in modo quasi compensatorio di un sentimento nazionale che non riesce a radicarsi in modo spontaneo nella cultura pubblica italiana e nell’immaginario collettivo, l’Italia abbia finito per abbracciare – soprattutto al livello dei suoi ceti dirigenti – un europeismo-occidentalismo spesso ortodosso e intransigente e non privo a sua volta di accenti declamatori”. Un estremo chiama l’altro.
Ma Destra Storica e Prezzolini ci ricordano appunto che esiste “un modo di concepire il senso di appartenenza patriottica e l’idea di nazione diverso (si potrebbe aggiungere, necessariamente diverso) da quello sul quale curiosamente hanno spesso concordato sia i nazionalisti più dogmatici sia gli anti-nazionalisti più convinti. Per entrambi, pur nella differenza di giudizio, la nazione si riduce a questi fattori: una forma politica assoluta; uno spazio chiuso anche in senso fisico; un insieme cristallizzato di valori, tradizioni e simboli; una passione irrazionale; un’identità primordiale che non ammette rinunce o deroghe; una credenza dogmatica al limite della fede”. Ma accanto a questa forma di nazionalismo, che ha fatto e continua a fare molti guasti, ce ne è un’altra che ha invece un rapporto molto stretto con la democrazia, la libertà e il pluralismo. “Si può anzi dire che sono esattamente i legami nazionali lo sfondo pratico-normativo che consente il corretto funzionamento dei sistemi di governo basati sul consenso dei governati”, attraverso il senso di appartenenza a una identità comune che suoera le differenze di interessi e partiti. Da qui, consiglia Campi, bisogna appunto ripartire.
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