Nei laboratori si fanno esperimenti scientifici, talvolta arditi, quasi mai pericolosi, sempre finalizzati a scoprire o sperimentare qualcosa che possa rivelarsi utile al prossimo. Ma se a maneggiare provette e alambicchi sono non ricercatori o scienziati provetti, ma apprendisti stregoni e fattucchieri, o peggio qualche genio pazzoide, il rischia che si producano dei mostri o che tutto scoppi per aria è assai grande.
La Sicilia, dove si voterà il prossimo 28 ottobre per rinnovare l’Assemblea regionale, sarebbe un laboratorio politico, al quale tutti gli osservatori consigliano di guardare con attenzione per capire quel che succederà a livello nazionale con le prossime elezioni politiche. Ma siamo sicuri che si tratti di un laboratorio e non piuttosto di una gabbia di matti (politicamente parlando) dove si sperimentano formule, alleanze, intese, accordi e accoppiamenti che appaiono – visti dall’esterno – a dir poco strambi e contro natura, persino difficili da spiegare e far comprendere nella loro assoluta eccentricità?
Io direi la seconda, aggiungendo che la Sicilia è sempre stata un mondo politicamente a parte, dove si sono viste e fatte cose che voi umani non potere nemmeno immaginare.
Lasciamo perdere le ansie separatiste che i siciliani hanno sperimentato con decenni di anticipo rispetto alla Lega, e fucili alla mano, mentre il povero Bossi le doppiette si è solo limitato a invocarle senza che nessuno, tra i suoi corregionali padani, lo prendesse sul serio. L’unico conato di rivolta armata del nord, è stato, come si ricorderà, l’assalto di una pattuglia di disperati al campanile veneziano di San Marco con un trattore truccato da autoblindo. Mentre la Sicilia, tra il 1942 e il 1951 (tanto durò l’esperienza del Movimento Indipendentista Siciliano che ebbe in Andrea Finocchiaro Aprile il suo leader storico), s’arrivò per davvero a creare bande armate sobillate dalla mafia che si batterono per l’indipendenza contro l’esercito e i carabinieri.
Lasciamo anche stare quell’altra bizzarria politica passata alla storia come “giunta Milazzo”, dal nome di un deputato regionale siciliano democristiano, Silvio Milazzo, che nel 1958 ruppe con il suo partito (in quel periodo guidato nell’isola da Giuseppe La Loggia, padre di quell’Enrico oggi deputato berlusconiano) e si fece eleggere Presidente della giunta regionale siciliana da una maggioranza composta da democristiani dissidenti, comunisti, socialisti, liberali, repubblicani, monarchici e missini (all’epoca detti più sbrigativamente fascisti), con la Dc ufficiale lasciata sola all’opposizione.
Lasciamo da parte altre amenità o perle politiche tutte siciliane come ad esempio la nascita nel 1991 della Rete di Leoluca Orlando (altro dissidente democristiano) e le elezioni plebiscitarie, forse un po’ troppo plebiscitarie, di quest’ultimo a sindaco di Palermo, che con lui sperimentò una “primavera” – nel nome di un impegno antimafia invocando il quale si arrivò a gettare ombre e sospetti persino su galantuomini quali Leonardo Sciascia e Giovanni Falcone – che ebbe come ideologo un gesuita oggi dimenticato, padre Ennio Pintacuda, un integralista assoluto che s‘era messo in testa di rimescolare le carte della politica tradizionale e di fare della Sicilia un modello rivoluzionario per tutta l’Italia. O la curiosa e schiacciante vittoria riportata nell’isola nel 2011 da Forza Italia e dai suoi alleati, che si aggiudicarono alle elezioni politiche tutti i 61 seggi a disposizione: fu grazie all’attivismo e alle capacità organizzative di un giovane e brillante ex manager di Publitalia, Gianfranco Micciché, si disse all’epoca, ma in effetti non appaiono strane queste maggioranze assolute e blindatissime che in Sicilia si spostano da destra a sinistra (e viceversa) secondo il vento del momento?
Lasciamo insomma perdere quel che è accaduto nel passato, anche recente, e veniamo all’oggi. Vale a dire a quel che è successo con la giunta Lombardo e a quel che sta succedendo con le candidature in vista delle elezioni del prossimo ottobre. E ditemi voi che se la Sicilia è un posto normale, dal quale dovremmo trarre ispirazione e consiglio!
Per spiegare cosa è stato il governo di Raffaele Lombardo, che ha retto la Sicilia dall’aprile del 2008 alle dimissioni presentate da quest’ultimo lo scorso luglio, ci vorrebbe uno scrittore di fantascienza. Capo del Movimento per le Autonomie, eletto con il centrodestra (Pdl e Udc), Lombardo ha dato vita a ben quattro maggioranze in quattro anni, con una via vai di partiti e sigle da far girare la testa. Dopo aver rotto con Berlusconi e il Pdl ufficiale, si è appoggiato prima al Pdl dissidente di Micciché e all’Alleanza per l’Italia di Rutelli. Poi, dopo aver rotto anche con Micciché, ha creato (in una sorta di riedizione del “milazzismo”) un esecutivo esclusivamente tecnico sostenuto da Mpa, dai finiani del Fli, nientemeno che dal Pd e infine dall’Udc di Casini (con la componente facente capo a Totò Cuffaro e Saverio Romano passata nel frattempo al’opposizione dopo aver creato i Popolari per l’Italia di domani). Insomma, un’assoluta confusione.
La stessa confusione che sta accompagnando la campagna elettorale in corso. Ci sono al momento quattro candidati principali. Il primo è Rosario Crocetta, sostenuto dal Pd, dall’Udc e da quel che resta dell’Api di Rutelli (dunque da tre partiti che sino all’ultimo hanno sostenuto la giunta Lombardo), ma accusato – in particolare dall’Italia dei Valori e dalla sinistra radicale – di essere, per l’appunto, una specie di uomo ombra di Raffaele Lombardo o comunque una sua “invenzione”. Il secondo è Nello Musumeci, esponente e “La Destra” di Storace e candidato ufficiale del Pdl (il primo partito d’Italia che non riesce nemmeno a candidare un suo uomo). Il terzo è Micciché, che prima ha detto di voler sostenere Musumeci ma poi ha deciso di mettersi in proprio, sostenuto dal suo proprio partito, “Grande Sud”, dal “partito dei siciliani” di Lombardo, nonché dal Fli di Fini, che stava per appoggiare Crocetta, ma poi ha optato per il dissidente berlusconiano. Il quarto è Claudio Fava, che corre sostenuto dal Sel di Vendola e, con ogni probabilità, da Orlando e dell’Italia dei Valori, sempre che questi ultimi non decidano all’ultimo momento di mettere in campo un loro uomo (c’è tempo sino al 18 settembre per definire le candidature).
Tutto questo caos – di grazia – in che misura potrebbe o dovrebbe riverberarsi sull’Italia in vista delle elezioni politiche? Già a Roma non si sa che pesci prendere: ci manca solo che si prenda la Sicilia come modello o come esperimento esportabile su scala nazionale. A quel punto sì che si farebbe il botto!
La verità è che la Sicilia è una regione dove il “trasversalismo” (mettere insieme destra, sinistra e centro con l’idea apparente di realizzare qualcosa di realmente innovativo rispetto agli equilibri politici consolidati) si confonde facilmente col “trasformismo” (dunque con la tutela di interessi e carriere) e arriva persino a giustificarlo. Quelli che appaiono esperimenti arditi sono in realtà il frutto di accordi dettati da una logica di scambio, da un desiderio di mantenere il potere ad ogni costo, che spiegano in gran parte lo stato di declino e degrado in cui versa questo pezzo d’Italia, pure bellissimo, di profonda cultura e di grande tradizione. La Sicilia un laboratorio? Sì, ma degno del dott. Victor Frankenstein.
Commento (1)
Alessandro Trudda
Post degno di nota. Sul tema in di cui scrivi dieci giorni fa se
non sbaglio mi sono fatto un’idea, ma ritengo che questo sia particolare.
ciau