di Michele Marchi*
Ora che si è completato il dopo elezioni municipali con la nascita del governo Castex, è possibile avanzare qualche considerazione sulle prospettive degli ultimi due anni di mandato di Macron.
 
La narrazione che introduce il nuovo governo
Le scelte dell’inquilino dell’Eliseo potranno determinare le sue possibilità di rielezione nel 2022, ma anche il ruolo che Parigi potrà e dovrà continuare a svolgere all’interno dei complicati equilibri europei e nello specifico di quelli del rinnovato asse franco-tedesco.
di Michele Marchi*

Ora che si è completato il dopo elezioni municipali con la nascita del governo Castex, è possibile avanzare qualche considerazione sulle prospettive degli ultimi due anni di mandato di Macron.

 

La narrazione che introduce il nuovo governo

Le scelte dell’inquilino dell’Eliseo potranno determinare le sue possibilità di rielezione nel 2022, ma anche il ruolo che Parigi potrà e dovrà continuare a svolgere all’interno dei complicati equilibri europei e nello specifico di quelli del rinnovato asse franco-tedesco.

Innanzitutto occorre soffermarsi sulle parole di Macron nel dopo secondo turno delle municipali. Egli da un lato ha insistito sulle difficoltà di natura economica e sociale della rentrée autunnale, si è concentrato sulle priorità, citando anziani e giovani (i potenziali grandi sconfitti della pandemia sul medio-lungo periodo) e ha delineato un fine mandato “sociale” ed “ecologico”.

Dall’altro lato ha poi parlato di metodo, soffermandosi sul desiderio di reinventarsi e di correggere una tendenza, vera o percepita, di riforme “contro” e non “a favore”. In questo senso le parole chiave sono state “riconciliazione” e “apaisement”.

Fino a questo punto potremmo dire la narrazione, poi sono giunte pratica e concretezza e cioè, nello specifico, le dimissioni di Philippe, la nomina del nuovo Primo ministro, Jean Castex, e la nascita della nuova compagine governativa.

Anche qui occorre procedere con ordine.

 

Chiusa l’esperienza Philippe

Prima di tutto la decisione di chiudere l’esperienza Philippe. Osservatori anche molto vicini all’Eliseo davano per poco probabili le dimissioni del sindaco di Le Havre, a maggior ragione dopo l’ottima rielezione, uno dei pochi successi, anche se indiretta, per Macron dal voto municipale. Chi puntava sull’ipotesi poi verificatasi, insisteva sulla necessità per Macron di liberarsi di un Primo ministro troppo ingombrante in quanto molto più popolare rispetto al Presidente.

Nel concreto a pesare sulla scelta di Macron pare siano state ragioni strutturali almeno quanto congiunturali. Da una parte Macron è stato consigliato dall’ex presidente Sarkozy, il quale avrebbe insistito molto sul suo supposto errore durante il mandato 2007-2012, quello cioè di non essersi separato del primo ministro Fillon per rilanciare la sua presidenza e creare una dinamica positiva in vista della campagna elettorale per la rielezione.

D’altra parte la scelta di Macron si colloca in piena continuità con le molte effettuate nel corso della della V Repubblica, si pensi a de Gaulle che non reincarica Georges Pompidou dopo il trionfo legislativo del 1968 o alla decisione di Mitterrand del 1984 di chiudere con Pierre Mauroy e cercare di rilanciare il suo settennato giocandosi la carta del social-liberalismo di un giovanissimo Laurent Fabius. Proprio quest’ultimo caso permette però di introdurre una riflessione connessa all’evoluzione istituzionale della V Repubblica, dal momento del passaggio dal settennato al quinquennato.

Con la durata del mandato presidenziale e quella del Parlamento coincidenti, è legittimo domandarsi quanto sia efficace il cambio di Primo ministro. Quest’ultimo nella logica del quinquennato diventa, per costituzione materiale (non formale), il “collaboratore” di un presidente sovra-esposto, molto più simile al presidente statunitense, rispetto a quello della V Repubblica delle origini. Se si è d’accordo su questa lettura, si può allora passare ad una particolare interpretazione della scelta del nuovo Primo ministro.

 

Castex, prototipo del Primo Ministro “collaboratore”

La scelta si colloca così in linea di continuità con quella di Philippe nel 2017. Castex è stato selezionato per tre ragioni fondamentali.

1- La prima è molto intuitiva e legata alla contingenza. È stato il commissario che ha gestito in maniera razionale, e al momento efficace la fase di passaggio dalla chiusura alla riapertura del Paese, è un grande organizzatore ed esperto di mondo sanitario, in particolare di sistemi ospedalieri. Una garanzia assoluta anche in caso di un’ipotetica ripresa pandemica autunnale.

2- La seconda ragione è legata al profilo personale e alla formazione di Castex. È un enarca come Philippe, dunque ha un chiaro profilo tecnocratico ma molto meno, se possibile utilizzare le espressioni, salottiero e dandy. E’ come Philippe un eletto locale, da anni sindaco di un piccolo borgo dei Pirenei Orientali, oltre che consigliere dipartimentale, ma ancor più di Philippe è un uomo del territorio, che conosce la Francia profonda, verrebbe da dire la spesso citata France périphérique. In definitiva, come una efficace battuta ha riassunto, uno dei pochi residenti del ricco settimo arrondissement parigino a non essersi stupito quando ha visto i gilets jaunes assaltare gli Champs-Elysées.

3- Manca un terzo e fondamentale punto. Castex è un uomo del centro-destra, come lo è sempre stato Philippe. Ha rotto con LR pochi giorni prima della sua nomina a Primo ministro. Se Philippe è uomo della filiera di Juppé, Castex è strettamente legato a Sarkozy (era stato suo segretario generale aggiunto all’Eliseo) e, forse ancora più rilevante, è stato a lungo l’uomo di fiducia di Xavier Bertrand, accanto a lui prima al ministero del Lavoro e poi della Sanità. E, non dimentichiamo, Bertrand pensa da tempo alla candidatura per il 2022.

 

Il gollismo sociale della destra repubblicana

Questa sommaria descrizione del profilo di Castex permette di definire meglio la dimensione politico-ideologica insita nella decisione di Macron e anche il tipo di rilancio che ci si può attendere dal presidente.

Castex è una sorta di alter ego di Philippe, al momento sconosciuto al grande pubblico, uomo più ascrivibile alla prossimità che alla tecnocrazia, dotato di maggiore efficacia (almeno in teoria) ma probabilmente di minor acutezza, con più rondeur ma meno letture colte. Se è permesso un paragone storico legato alla presidenza Chirac, più simile a Raffarin che a de Villepin, o come lui stesso si è definito un “gollista sociale”, le cui parole d’ordine saranno “responsabilità, laicità e autorità”. E’ forse superfluo affermarlo ma ci si muove all’interno di un profilo politico-ideologico di destra repubblicana. Il punto è di estrema rilevanza e, a parere di chi scrive, non va banalizzato.

 

Le quattro novità del rimpasto di governo

Prima di tutto Macron ha ribadito questa scelta di ancoraggio in prima istanza nell’area del centro-destra anche nelle scelte del rimpasto di governo. Le novità sono in realtà poche, quattro quelle più rilevanti. Due di queste sono assolutamente ascrivibili alla galassia di ex-sarkozisti.

1- Il giovane pupillo di Sarkozy Gérald Darmanin, già ministro del bilancio nel governo Philippe, è promosso al determinante ministero dell’Interno.

2- Con lui entra al governo un’altra sarkozista di ferro, Roselyne Bachelot, ex ministra della Salute e della Coesione sociale tra il 2007 e il 2012 e ora alla Cultura.

3- Il terzo elemento di novità è l’azzardo Eric Dupond-Moretti alla Giustizia. Un avvocato fuori dagli schemi, anche se di amicizie a sinistra, ma soprattutto un notissimo avvocato difensore messo a guidare la magistratura.

4- E infine la scelta “verde”, ovvero Barbara Pompili, alla transizione ecologica, con il delicato compito di mettere a frutto le indicazioni provenienti dalla Convention citoyenne pour le climat. Anche in questo caso occorre andare oltre le apparenze. E’ vero che Pompili proviene dalle file del movimento ecologista (EELV), ma da questo è stata cacciata, perché ritenuta troppo moderata, e nel 2017 è stata eletta deputata nelle file de LRM. Ex segretario di Stato durante la presidenza Hollande, incarna comunque la tendenza liberale, e dunque minoritaria, all’interno dell’ecologismo francese.

Se questo è il quadro, in maniera solo impressionistica delineato, Macron manda alcuni messaggi piuttosto chiari e allo stesso tempo sceglie di avanzare alcune scommesse piuttosto ardite. Con Castex ha scelto il prototipo del Primo ministro “collaboratore”, che sappia far funzionare la macchina dello Stato e ascoltare contemporaneamente la Francia profonda, rispondendo alla domanda di autorità diffusa. Questo inquilino di Matignon non deve assolutamente fare ombra ad un presidente in prima linea su tutti i principali dossier, siano essi di politica interna o internazionale.

 

Un mix pratico di social-liberalismo

Da un punto di vista ideologico e programmatico nonostante i richiami alla dimensione sociale ed ideologica, l’obiettivo è quello di cercare di consolidare il macronismo delle origini, un mix virtuoso di social-liberalismo centrato sul primato del lavoro e della responsabilità collettiva. Obiettivo esplicito, insito nelle scelte di Castex e Darmanin solo per citare quelle più rilevanti, è quello di consolidare uno zoccolo duro di elettorato moderato, di centro-destra e di centro, sufficiente per garantirsi l’accesso al ballottaggio, da affrontare sperabilmente contro Marine Le Pen.

Una scommessa senza dubbio azzardata. Ma la virata nella direzione di una qualche forma di post-socialismo tinteggiato di ecologismo sarebbe stata a questo punto credibile? E come si sarebbe accompagnata alla declinazione che Macron ha fornito della centralità della presidenza nel sistema della V Repubblica sin dai primi suoi passi? Peraltro considerata la crisi sanitaria ancora in atto, quella economica sempre più imminente e quella europea ancora da chiudere, l’idea di provare a salvare il salvabile è la linea che egli ha scelto. Poco lirismo e molta praticità. La riconferma nel 2022 diventa, al momento, l’obiettivo principale del giovane inquilino dell’Eliseo. Se così sarà, dalla tarda primavera del 2022, ci potrebbe essere la possibilità di vedere anche un Macron rinnovato ideologicamente. Per ora bisogna accontentarsi.

 

*Professore di Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna. Si occupa di storia politica dell’Europa del XX secolo con particolare attenzione per quella francese e per il rapporto tra politica e religione in Francia ed in Italia. Per Rubbettino ha pubblicato “Alla ricerca del cattolicesimo politico. Politica e religione in Francia da Pétain a de Gaulle” (2012). Membro del comitato di redazione della “Rivista di Politica”, della redazione della rivista “Ricerche di Storia Politica” e della rivista “Nuova Informazione Bibliografica”. Articolo apparso su PER. Progresso, Europa, Riforme.

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