di Mauro Zampini
L’intervento del capogruppo del Pd alla Camera Del Rio nel dibattito sulla fiducia al Governo Conte ha avuto il merito di ricordare l’esistenza dell’opposizione. Per tre mesi si è atteso un governo, che poi è arrivato, non senza traumi e passaggi dolorosi.  Per raggiungere l’obiettivo, si è minacciata la più alta istituzione dello Stato del reato più infame e infamante, non a caso passibile del carcere a vita; a esibirsi in questo cinico esercizio è stata,
di Mauro Zampini

L’intervento del capogruppo del Pd alla Camera Del Rio nel dibattito sulla fiducia al Governo Conte ha avuto il merito di ricordare l’esistenza dell’opposizione. Per tre mesi si è atteso un governo, che poi è arrivato, non senza traumi e passaggi dolorosi.  Per raggiungere l’obiettivo, si è minacciata la più alta istituzione dello Stato del reato più infame e infamante, non a caso passibile del carcere a vita; a esibirsi in questo cinico esercizio è stata, per prima, l’unico capo di partito donna, uno schiaffo a chi crede ad una politica più sensibile, rispettosa, “umana”, ponderata, se volta al femminile. L’obiettivo di Giorgia Meloni era non il governo, ma solamente uscire da un cono d’ombra. Abbiamo appreso, noi elettori, che per un obiettivo politico si può arrivare a distruggere un’istituzione, addirittura quella che tiene unita una comunità; comunque, una persona, una famiglia, l ’onore senza ombre; che si può farlo  a freddo, senza crederci; o, credendoci, si può desistere al raggiungimento del profitto politico.

L’onestà intellettuale merita di essere urlata non meno di quella materiale, soprattutto quando quest’ultima non ha subito il vaglio della tentazione del potere. Se questa è la nuova politica, la terza repubblica, ne prenderemo atto. Non sarà però la “repubblica dei cittadini”, se non per la sbandata di un momento.

Quindi, si può temere che la funzione dell’opposizione – complementare a quella del governo, e al pari di questa importante per la alternanza di più soggetti alla guida del paese – sia atrofizzata al punto di rivivere per l’eccitazione di un intervento efficace in un’aula parlamentare, e nulla più? La prospettiva non è meno grave di quella, temibile, di un governo che si sottragga ai vincoli costituzionali, regolamentari, sovranazionali; e l’unione delle due prospettive, addirittura contestuali, è oltremodo inquietante.

Nella fisiologia di un sistema parlamentare, il governo compie gli atti di governo, e la minoranza vi si oppone: avendo come fine non la paralisi legislativa e il fallimento del programma di governo, quanto la segnalazione motivata all’opinione pubblica della propria contrarietà, se occorre del proprio allarme.

Alla sede istituzionale in cui esercitare la funzione di opposizione – le camere del parlamento e le altre assemblee legislative – se ne sono aggiunte altre, per la vorticosa, inarrestabile moltiplicazione degli strumenti di comunicazione e persuasione. Queste ultime – che configurano la relazione diretta, immediata  tra la politica e i cittadini singoli – tutte queste ultime hanno trovato il presidio esclusivo, il monopolista, nei movimenti che oggi tutti – dopo la ingenua e sorprendente rivendicazione del presidente Conte nelle aule del parlamento – possiamo definire populisti: per l’uso congiunto e smodato di demagogia e semplificazione, per il perseguimento di desideri intuiti o ispirati, creati ad arte; per la ricerca di nemici da umiliare (i rappresentanti del popolo con i loro non estorti vitalizi, ad esempio) e l’abbandono di nemici reali (gli evasori fiscali, ad esempio) che non si possono o vogliono perseguire. Un uso che esclude da quelle piazze i fondamenti tradizionali della politica: la riflessione, l’approfondimento, il progetto, la sintesi strategica. Un rapporto non solo recettivo con la pubblica opinione.

I partiti della nuova maggioranza non molleranno le piazze dove è esplosa la loro azione di opposizione, come si vede: le useranno per riempire i loro eventuali, non auspicabili, possibili vuoti di governo. In una inedita azione di aggressione ai vecchi governi, alle opposizioni, per quanto inermi, spossate.

Le odierne minoranze, soprattutto i brandelli di quello che fu il centrosinistra, se ne troveranno la voglia e soprattutto l’energia, dovranno agire nelle sedi parlamentari, e solo in quelle. Non illudendosi dell’impegno promesso dal presidente Conte per una nuova centralità del parlamento, che non va oltre i pochi, marginali istituti di relazione diretta tra eletti ed elettori. Dovranno puntare a rivitalizzare il procedimento legislativo descritto nell’articolo 72 della costituzione, pretendendo che il governo ne sia uno degli attori, non il solo, con l’uso incostituzionale e sleale di maxiemendamenti della lunghezza di un romanzo, elaborati nei palazzi di Governo, lasciando ai mille parlamentari solo un voto sulla fiducia al governo. Per onestà, dovranno ricordare che le opposizioni di ieri chiedevano la stessa cosa, e che i governi del partito democratico non se ne davano per intesi. Ma l’autocritica non ha molti estimatori nella politica. E il ripristino del procedimento legislativo corretto, come dimostra l’alternanza di governo, non è un interesse di parte.

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