di Fabio Massimo Nicosia

C’è stato un periodo, nella seconda metà degli anni ’90, nel quale mi sono definito anarco-capitalista. La motivazione di fondo era la convinzione che non vi fosse nulla che fa lo Stato, che non potesse essere svolto dal mercato in regime di libera concorrenza, ivi compresi i servizi legali e giudiziari, l’emissione di moneta e chi più ne ha, più ne metta.

Già in precedenza, peraltro, quando mi sentivo più vicino all’anarchismo classico (preferibilmente versante individualista) avevo subito l’influenza dell’”anarco-liberismo” di Riccardo La Conca, il quale vantava il primato della sua dottrina, in quanto la più coerente tra quelle disponibili, dato che sosteneva tanto i diritti civili (che piacciono, almeno in teoria, alla sinistra), quanto la libertà di iniziativa economica (che piace, almeno in teoria, alla destra): libertà a tutto campo, insomma.

Su tali basi, mi sono affacciato a quanto di movimento anarco-capitalista esistesse in Italia, ma ho subito presto delle delusioni.

Anzitutto costoro erano simpatizzanti o militanti della Lega Nord, e ponevano al primo posto della loro agenda politica la questione della secessione. Io invece non ho mai pensato che il localismo rappresentasse di per sé un incremento di libertà. Lo dimostrano i provvedimenti dei sindaci, le famose ordinanze, con le quali le amministrazioni locali non sanno far altro che porre e incrementare nuovi e vecchi divieti.

Per capirci, gli anarco-capitalisti italiani, dovendo scegliere tra più libertà e più decentramento, scelgono più decentramento. Si veda il caso degli Stati Uniti: tra una legge illiberale di uno Stato membro, e una sentenza della Corte suprema che la cassi, loro appoggiano la legge illiberale locale.

Inoltre, gli anarco-capitalisti con i quali mi sono imbattuto, non sono affatto, come voleva La Conca, degli alfieri dei diritti civili: di fronte a qualsiasi proposta di legalizzazione di nuove libertà (droga, matrimonio gay e così via), loro si oppongono, affermando che si tratta di proposte stataliste, il che è ovvio, perché per introdurre un nuovo diritto civile occorre pur sempre una legge, e ogni legge è ovviamente “statalista” per definizione, comprese quelle che piacciono a loro.

Ma, si dirà, questa non è ancora una critica dell’anarco-capitalismo, ma solo di una sua declinazione, quella in voga in Italia.

E allora sarò più specifico. Non sono più anarco-capitalista, da quando ho maturato il concetto che, per gli anarco-capitalisti la terra è originariamente res nulliius e non, come oggi credo, res communis.

A tutta prima sembra trattarsi di un’inutile astrazione, e tuttavia le conseguenze sono rilevantissime. Ad esempio, nonostante autori come Rothbard e Nozick mettessero in guardia sul punto, gli anarco-capitalisti non distinguono a sufficienza tra proprietari legittimi e illegittimi, mettendo tutti in un unico fascio, e trattando da parassiti non solo chi si arricchisce in forza dello Stato, ma anche poveracci che fanno fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, come molti dipendenti pubblici e privati, a tacere dei disoccupati o di altri soggetti deboli, in cerca di welfare e di ammortizzatori sociali.

La verità è che in un sistema tecnologicamente avanzato, nel quale i posti di lavoro inevitabilmente diminuiranno a causa dell’automazione e della robotizzazione, non sarà tanto il lavoro che verrà invocato, il che è impossibile, come “diritto”, ma direttamente un reddito di esistenza, a meno che non si goda a vedere le strade via via riempirsi di clochard e mendicanti.

E allora, come si ricollega quanto precede con la questione della terra come res communis? Il focus è costituito dal fatto che, come ha scritto il marxista analitico Greg Cohen, non solo lo Stato, ma anche i privati proprietari, limitano la libertà dei terzi, impedendo il libero passaggio o l’utilizzo dello stesso suolo, e quindi questa lesione di libertà deve essere compensata.

E allora, ricollegandoci al principio, io credo ancora che il mercato possa svolgere qualsiasi delle funzioni oggi devolute allo Stato, ma penso che ciò debba avvenire in un contesto nel quale, come diceva Ernesto Rossi, vada “abolita la miseria”, in un mondo nel quale il primo problema è dare da mangiare tutti i giorni a 7 miliardi di bocche, molte delle quali affamate.

Ecco che cosa mi distingue, più profondamente, dagli anarco-capitalisti storici, e che, oggi come oggi , non mi consente più di definirmi tale.

 

Commenti (3)

  • simone
    simone
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    ti spiego perché secondo me sbagli e perché dovresti tornare a definirti anarco capitalista:

    “trattando da parassiti non solo chi si arricchisce in forza dello Stato, ma anche poveracci che fanno fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, come molti dipendenti pubblici e privati, a tacere dei disoccupati o di altri soggetti deboli, in cerca di welfare e di ammortizzatori sociali.”

    Chi riceve il welfare lo riceve grazie all’imposizione con armi spianate di una “maggioranza” che da’ un mandato ad una persona con un costume e un cappello con una fiamma di prendere con la forza parte della proprietà di un individuo (più specificamente il tempo di una persona, perché il denaro non è altro che il tempo impiegato per produrre una cosa; se tu guadagni 10 $/h ed io ti rubo 50 $ in realtà ti ho schiavizzato per 5 ore) che non vuole dare la sua proprietà, altrimenti le tasse si chiamerebbero beneficenza; il furto non è furto se è voluto e se non c’è coercizione, se stiamo girando un film che rappresenta un furto chiaramente non è avvenuto alcun furto.
    L’anarco capitalista non chiama parassita chi riceve il welfare (se non ha altre opportunità, altrimenti sì) perché chi riceve il welfare è (si presume) in una situazione disperata NON EVITABILE: ad esempio se tu vivi in un vicolo cieco ed io possiedo la strada prima del vicolo non sarebbe immorale da parte tua rispondere con l’uso della forza o irrompere nella mia proprietà; perché non hai altra scelta. L’anarco capitalista se la prende con chi vota per mandare l’uomo col costume e la fiamma sul cappello a prendere parte della proprietà di qualcuno e darla a qualcun’ altro indipendentemente se quest’ultimo ne ha bisogno o no; il furto è furto, se ti svaligio casa e dono il ricavato a Save the Children non ho fatto una buona azione.

    “La verità è che in un sistema tecnologicamente avanzato, nel quale i posti di lavoro inevitabilmente diminuiranno a causa dell’automazione e della robotizzazione.”

    non è mai successo nella storia dell’umanità che la tecnologia creasse disoccupazione, può succedere nell’immediato ma lo sviluppo tecnologico aumenta l’occupazione, il reddito, e abbatte i prezzi. Durante la rivoluzione industriale la disoccupazione è scesa drasticamente, i salari raddoppiarono, la povertà è calata e la popolazione mondiale è schizzata alle stelle.

    ” Il focus è costituito dal fatto che, come ha scritto il marxista analitico Greg Cohen, non solo lo Stato, ma anche i privati proprietari, limitano la libertà dei terzi, impedendo il libero passaggio o l’utilizzo dello stesso suolo, e quindi questa lesione di libertà deve essere compensata.”

    E la tua pelle mi impedisce di passarti attraverso o l’utilizzo delle tue stesse interiora; la materia è materia, non c’è differenza a livello di particelle sub-atomiche tra la tua pelle o un recinto elettrificato o tra un tuo mignolo e la tua macchina, se io ho un tumore ad un polmone non ho diritto ad uno dei tuoi polmoni sani per compensare il fatto che a tua gabbia toracica mi impedisce di accedervi, esattamente come se tu hai 1 ettaro di terra e io no non ho diritto a metà della tua terra.

    Vedi, il concetto di proprietà è molto primitivo nelle menti delle persone purtroppo, la proprietà non è il recinto attorno ad un appezzamento di terra o le guardie che lo proteggono, non è che se tolgo il recinto e licenzio le guardie il terreno non è più mio, e non è nemmeno un accordo tra individui.
    Il concetto di proprietà si sviluppa partendo dal fatto che ogni individuo possiede il proprio corpo, in quanto ne ha l’utilizzo esclusivo; da qui ne deriva logicamente che ogni individuo possiede gli effetti delle proprie azioni e ne è quindi responsabile (dire che un individuo non possiede il proprio corpo o gli effetti delle proprie azioni è una fallacia logica, quella che gli inglesi chiamano argomentazione auto-distruttiva, infatti per fare tale affermazione si sta usando il proprio corpo e se stiamo dibattendo stiamo implicitamente appropriandoci dell’effetto delle nostre azioni; sarebbe come dire :”la lingua italiana non ha senso” bhe se sto usando la lingua italiana per fare questa affermazione…); da qui ne deriva infatti che ogni individuo possiede un eventuale omicidio o macchina che ha prodotto o risparmiato per ottenere attraverso un scambio non violento. La proprietà di oggetti fisici quindi non è nient’altro ciò che si ottiene attraverso il nostro lavoro (inteso nel senso che gli da’ la fisica) senza che ci sia un iniziazione di coercizione, ma attraverso uno scambio volontario tra le due parti.

    Il furto è furto, l’omicidio è omicidio, il rapimento è rapimento; non possiamo inventarci un istituzione che non esiste (lo stato è un concetto, in realtà non è altro che un gruppo di persone con delle armi e il “diritto” legale di usarle a piacimento, nello stesso modo in cui una foresta non è altro che un gruppo di alberi) ribaltare completamente i principi morali, e inventarci i nomi per cose che fa questa istituzione per renderli più piacevoli: le tasse e il furto, la scuola dell’obbligo e il rapimento di bambini, l’istruzione pubblica e il lavaggio del cervello, missione di pace e sterminio,la legge e un opinione imposta con una pistola.

  • antome
    antome
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    Suppongo che allora questa proprietà di cui parli, sia valida anche per il prodotto della propria forza lavoro :).

  • IO
    IO
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    Il signor simone non ha capito che il concetto di FURTO esiste perchè esiste il concetto di PROPRIETA’ che a sua volta esiste perchè esiste una LEGGE che lo istituisce la quale esiste perchè esiste 1 STATO o GOVERNO che l’ha emanata.
    Tra l’altro negare a chi è in difficoltà i mezzi di sussistenza come vuole fare il signor simone è esso stesso 1 OMICIDIO.

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