Alessandro Della Casa
Spartaco Pupo, Lo scetticismo politico. Storia di una dottrina dagli antichi ai giorni nostri, Mimesis, Milano-Udine 2021, pp. 416.
Benché oggetto, negli scorsi decenni, di un importante processo di riscoperta in ambito storico-filosofico, la tradizione scettica pare ancora non sufficientemente indagata per quanto concerne i riflessi prodotti nel contesto sociale e politico. A tentare, con ottimi risultati, di colmare tale lacuna viene ora il volume Lo scetticismo politico. Storia di una dottrina dagli antichi ai giorni nostri (Mimesis, Milano-Udine 2021, pp. 416) di Spartaco Pupo, docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università della Calabria, il cui impegno negli ultimi anni si è concentrato prevalentemente sulla reinterpretazione del pensiero humeano in chiave scettico-conservatrice (si veda in proposito il suo David Hume. The Sceptical Conservative, Mimesis International, Milano 2020) con interessanti incursioni sulle sue declinazioni successive, tra cui quella, abbastanza suggestiva di Michael Oakeshott).
Una causa della disattenzione nei riguardi delle implicazioni politiche dello scetticismo, secondo Spartaco Pupo, rimonta alla radicata convinzione nella “irrinunciabile razionalità dei modelli politici moderni e contemporanei”, che lo avrebbe fatto apparire un modello di pensiero “incoerente” e “pericoloso”, ammissibile soltanto nelle versioni utili a delegittimare la “strutturazione sociale gerarchica” o a sostenere la “validità del paradigma neoliberale”.
Viceversa, ripercorrendone la traiettoria dagli albori nella Grecia del periodo ellenistico al XXI secolo, corroborato da un ampio e ragionato ricorso alla letteratura sul tema, il volume intende accertare la capacità scettica di generare, in armonia e coerenza con la propria epistemologia, una “dottrina politica positiva” di contro all’opinione che lo presumerebbe viziato dal principio da “indifferenza politica e sociale”. Al di là dell’eterogeneità delle correnti, a partire da quella originaria tra i pirroniani e gli accademici, prosecutori dell’insegnamento socratico, Pupo indica la cifra dell’omogeneità dello scetticismo nella disponibilità dei suoi esponenti a sottoporre le proprie “convinzioni alla verifica empirica e, soprattutto, non accetta[re] asserzioni e proposizioni definitive sulle ragioni profonde delle [loro] credenze personali, prima ancora che di quelle altrui”, seguendo la nozione della epochè. Mentre il dogmatico adotta un “criterio unico” per giudicare sulla verità di ciò che osserva, traendone poi “principi normativi” assolutizzati, lo scettico riterrà più “probabilmente vero ciò che l’esperienza gli suggerisce” e volgerà la propria attenzione ai “problemi pratici da affrontare caso per caso”. Infatti: “La politica, per lo scettico, non è una questione di verità, credenze, decisioni inappellabili e costruzioni di città utopiche, ma è un semplice modo di vita, scevro da giustificazioni di ordine trascendenti. Lo scettico rispetta le ‘regole’ stabilite nei territori in cui si trova a vivere, senza ritenerle dogmaticamente vere o giuste, ma solo osservandole in quanto leggi”. Una descrizione, questa giustamente offerta dall’autore, che si può ricavare dalla lezione di Michael de Montaigne e poi da Blaise Pascal, che quella lezione ben conosceva.
E infatti tali pensatori segnano due delle quattordici tappe affrontate nel volume che, dopo aver trattato la fase antica (con Pirrone, Socrate, Carneade e Cicerone), segue il testimone dell’attitudine scettica nel suo passaggio a Giovanni di Salisbury, presentato come fondatore “di una vera e propria filosofia politica medievale”, e a Francesco Guicciardini, a Montaigne e Pascal appunto, intervallati dall’allievo di François de La Motte La Vayer, Samuel Sorbière, e poi a Pierre Bayle e David Hume, fino a giungere, in età contemporanea, a Friedrich Nietzsche, Bertrand Russell, Giuseppe Rensi ( “scettico più influente” in Italia, sul piano politico e storiografico), Michael Oakeshott, Karl R. Popper e Richard Rorty.
A un primo sguardo, l’ampio spettro delle proposte in chiave politica dei filosofi citati difficilmente le farebbe apparire accostabili. Eppure, oltre a una non casuale predilezione per lo stile saggistico o aforistico rispetto al trattato, Pupo (a sinistra, nella foto) mette in luce che ad accomunare il filoassolutista Sorbière all’“ironico liberale” Rorty o l’antiegualitarismo di Nietzsche al socialismo gildista di Russell è la tendenza, derivata dall’adesione a un’epistemologia di carattere scettico, a ricusare quella che Oakeshott – delle cui Lezioni di storia del pensiero politico (Jouvence, Milano 2022, pp. 540) Spartaco Pupo ha più di recente tradotto e curato la prima edizione italiana – definiva “politica della fede” e l’imposizione di progetti di ingegneria sociale utopica che, forti della convinzione che la ragione umana possa pervenire a verità universalmente valide, nel tentativo di realizzare il “paradiso sulla terra” hanno finito per “trasformare la terra in un inferno”, come soleva affermare Popper. La “politica scettica”, viceversa, è improntata a principi di prudenza, di moderazione e di tolleranza, privilegia la conversazione piuttosto che la chiusura dogmatica, ed è votata alla conservazione del complesso intreccio che consente la convivenza civile della comunità, intervenendo con cautela per correggerne i mali che via via possono emergere.
Se come è stato scritto, “l’interesse per lo scetticismo si fa più intenso nei periodi di crisi culturale”, nell’attuale contesto, caratterizzato dal venefico entusiasmo dello spirito di fazione che Hume disprezzava, poiché lesivo dell’interesse della nazione, si palesa l’urgenza di tornare a rivolgersi alla fruttuosa tradizione scettica.
Alessandro Della Casa è dottore di ricerca in Scienze storiche e dei Beni Culturali e cultore della materia nel settore di Storia della filosofia presso l’Università della Tuscia.
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