di Alessandro Campi
La Grande Paura che in Italia tutti abbiamo avuto, quando è scoppiata la pandemia da Covid-19, è che nelle regioni del Sud potesse verificarsi un disastro al tempo stesso sociale e clinico. I più preoccupati – conoscendo la situazione dei loro territori, a partire dal funzionamento non sempre ottimale della sanità pubblica – erano ovviamente gli amministratori locali. Pronti a chiedere l’intervento urgente dello Stato al minimo segnale di crisi.
Ma il peggio, nonostante i timori, non si è verificato. Delle ragioni che hanno impedito il diffondersi massiccio nel Mezzogiorno del virus si discuterà a suo tempo con dovizia. Probabilmente lo si deve a un insieme di fattori: la mancanza di grandi concentrazioni metropolitane, un volume dei traffici e dei movimenti di persone più basso che nelle zone del Paese maggiormente industrializzate, una distribuzione della popolazione diffusa sul territorio, una maggiore disciplina dei cittadini dettata dalla paura che, in caso di contagio, si sarebbe rischiato di non ricevere cure adeguate. Ma mettiamoci pure, per non ragionare solo in negativo, la linea della fermezza subito sposata da Governatori e Sindaci una volta compreso quel che stava realmente accadendo nel Nord d’Italia; o il fatto che una certa cultura familista fa sì che gli anziani al Sud spesso ancora vivano coi loro figli, invece che nelle case di cura o nelle residenze riservate alla terza e quarta età dove si è visto la triste fine che hanno fatto.
Fatto sta che al di sotto di Roma (isole comprese) abbiamo avuto una situazione che pur nell’emergenza è sempre rimasta relativamente tranquilla (si fa un po’ fatica a dirlo in presenza di diverse centinaia di morti ma nulla a confronto delle migliaia e migliaia registrati altrove). I piccoli focolai che hanno imposto la creazione di “zone rosse” sono stati immediatamente posti sotto controllo dalle autorità. Sul piano sociale, non si sono verificate situazioni di disagio estremo: la rete dell’assistenza pubblica, quella del volontariato e della solidarietà spontanea tra vicini e parenti hanno tamponato alla meglio le difficoltà economiche di famiglie e individui.
Il problema potrebbe nascere nell’immediato futuro, con l’aggravarsi della crisi economica già in atto. In un’area del Paese dove le attività economiche informali incidono molto sulla ricchezza complessiva (e dunque sul tenore di vita di interi nuclei famigliari) c’è in effetti il rischio che alcuni pezzi della società finiscano in una condizione di serio affanno. Oltre al pericolo che vadano in fumo (almeno per quest’anno) i proventi legati all’accoglienza turistica, che per gran parte del Mezzogiorno rappresenta il settore economico-imprenditoriale in assoluto più fiorente (al quale è legato, ricordiamolo, un indotto stagionale sganciato dal mercato ufficiale del lavoro a sua volta significativo sul piano del reddito).
Insomma, non mancano le (legittime) preoccupazioni. Ivi compresa la presenza incombente al Sud della criminalità organizzata: sempre pronta a offrire il suo mai disinteressato aiuto a chi dovesse trovarsi in condizioni di difficoltà finanziarie e sempre pronta, una volta indossato il vestito buono, a inserirsi nel business della ricostruzione e ovunque ci siano soldi pubblici da spendere.
Ma per una volta proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno. La pandemia ha creato una spaccatura – sociale, ma anche d’immagine – Nord/Sud che va oggettivamente a vantaggio di quest’ultimo. Non aver dovuto affrontare i terribili costi umani, sociali ed economici toccati alle regioni più industrializzate d’Italia rappresenta certamente una ragione di soddisfazione, che sarebbe però di cattivo gusto – a dir poco – leggere, come qualcuno ha fatto, alla stregua di una nemesi storica. Semmai c’è da esprimere alle popolazioni del Nord il massimo della comprensione, della vicinanza e del rispetto per ciò che continuano a patire. E poco importa se, per ragioni di pregiudizio politico e/o antropologico (le due cose spesso viaggiano insieme), a parti invertite contro i “meridionali” si sarebbero scatenate le considerazioni peggiori. Il fatto che la vita sociale e quella politica abbiano un lato miserevole non vuol dire che lo si debba per forza assecondare.
La questione, fuori da ogni visione stupidamente antagonistica tra Nord e Sud, è semmai un’altra. E riguarda il fatto che in questo momento, proprio per il fatto di essere stati risparmiati dalla pandemia, i territori del Sud hanno dinnanzi a loro un’occasione di rilancio e modernizzazione unica e che sarebbe un peccato sprecare. Si tratta di un insperato vantaggio competitivo che merita di essere messo a frutto in modo strategicamente intelligente e senza alcuna spirito di revanche verso il resto d’Italia.
Arriveranno – più che dallo Stato italiano povero in canna, dall’Europa – molti soldi. Bene, ci si dovrebbe battere perché al Sud vengano spesi non secondo antiche logiche spartitorie, clientelistiche e assistenziali, ma per favorire progetti mirati di crescita. Nel settore turistico come in quello delle infrastrutture. C’è poi da immaginare, nell’immediato futuro, un riassetto degli spazi urbani imposto dalla necessità di favorire relazioni sociali meno all’insegna della congestione e di una socialità che spesso sconfina nell’affollamento. Anche da questo punto di vista il Sud dovrebbe cogliere l’occasione per adottare un’arte del costruire (e del progettare) meno all’insegna della speculazione e dell’improvvisazione che sconfina nell’illegalità, come nel passato, e più all’insegna della conservazione-valorizzazione del suo patrimonio storico-architettonico, magari prendendo esempio da ciò che sono state capaci di fare negli ultimi tre-quattro decenni alcune regioni del Centro Italia. Certe brutture urbanistico-architettoniche che hanno devastato nel tempo i paesaggi del Sud ormai non si possono cancellare. Ma forse si può immaginare una nuova cultura dell’ambiente e degli spazi che oltre ad andare a vantaggio della qualità della vita di tutti, avrebbe un positivo riflesso anche sulla qualità dell’offerta turistica.
Una cosa in particolare, tra le molte altre, ha poi insegnato questa crisi. Disponiamo di tecnologie (peraltro assai elementari) che semplicemente non sappiamo sfruttare. C’è voluta l’emergenza per capire quali potenziali abbiano la didattica a distanza e il lavoro a domicilio. Sul primo terreno proprio Napoli è una realtà all’avanguardia da anni attraverso l’esperienza della piattaforma di Web Learning “Federica” (felice intuizioni didattico-tecnologica di Mauro Calise, che i lettori di questo giornale ben conoscono). Ma il ritardo del Mezzogiorno su questi versanti è ancora grande e questa potrebbe essere l’occasione per operare investimenti che da un lato potenzino le strutture di formazione e insegnamento e dall’altro contribuiscano a rimodellare il mercato del lavoro attraverso la pratica dello smart working.
L’occasione appare ghiotta anche operare un salto di qualità nel settore dell’agroalimentare (da organizzare su basi più imprenditoriali, soprattutto sul piano del marketing) e per integrare meglio quest’ultimo con la filiera turistico-ricettiva. Ma altri esempi si potrebbero fare.
Il Sud d’Italia è uscito (quasi) indenne da una congiuntura che avrebbe potuto metterlo a dir poco in ginocchio. Gestendo con intelligenza pratica e prudenza la fase socialmente delicata della ripartenza, sfruttando al meglio il vantaggio competitivo con le aree del Paese dove invece la pandemia ha colpito molto più duramente, le regioni del Mezzogiorno possono insomma fare un piacere a sé stesse, in termini di sviluppo endogeno, e insieme all’Italia, in termini di sostegno alla ripresa dell’economia nazionale. Invece di compiacersi dello scampato pericolo, forse converrebbe rendersi conto dell’orizzonte favorevole che si è aperto. Resta l’incognita di classi politiche locali che non sempre appaiono all’altezza dei loro compiti e che in questi due-tre mesi spesso si sono fatte prendere la mano da un atteggiamento che, in alcuni casi, ha oscillato tra il paternalismo e un eccesso di esibizionismo mediatico. Oltre all’antica vizio di preferire la distribuzione di risorse in cambio di consenso. Ma perché non sperare che stavolta, propria a causa della Grande Paura che ci siamo presi, le cose possano andare diversamente?
*Editoriale apparso sul “Il Mattino” (Napoli) del 26 maggio 2020
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