Antonio Campati, La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica, Vita e Pensiero, Milano 2022, pp. 176
di Maria Giorgia Caraceni
Il volume di Antonio Campati, La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica, è un testo che si presenta suddiviso in cinque capitoli più una breve sezione conclusiva. Nei primi quattro capitoli (dedicati rispettivamente ai seguenti argomenti: disintermediazione, corpi intermedi, teorie della mediazione e della disintermediazione, democrazia immediata) l’autore svolge un eccellente lavoro di ricostruzione storica e filosofica. Ciò che salta immediatamente all’occhio è il gran numero di riferimenti bibliografici e l’ampiezza della parte dedicata alle note, che risulta oltremodo accurata, tanto da rendere il volume un ottimo strumento anche per chi iniziasse ad approcciarsi allo studio di tali tematiche. Tuttavia, quello svolto da Campati, non è un lavoro meramente compilativo, in quanto egli non si limita a fornire un elenco delle teorie di chi lo ha preceduto, prestando anzi molta attenzione alla discussione critica di queste. Infine, nell’ultimo capitolo e nella sezione conclusiva, l’autore presenta la sua teoria della distanza democratica.
Il primo capitolo è incentrato sul tema della disintermediazione. Campati precisa immediatamente che tale termine nasce in ambito economico-finanziario tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ma constata anche che, in conseguenza alle trasformazioni che hanno investito la società globale con l’avvento di Internet e lo sviluppo dei social media, esso è arrivato oggi ad assumere un significato del tutto inedito, indicando la profonda mutazione di quei rapporti e quei legami che regolano la società e la politica odierne [pp. 18-19]. «L’ingresso delle piattaforme informatiche nella vita politica» ha infatti provocato cambiamenti decisivi: negli ultimi decenni, «In tutto il mondo si sono alzate – più o meno gradualmente – le voci di chi ha addirittura decretato la fine di quei processi di mediazione che avevano rappresentato (e rappresentano) l’ossatura dei sistemi democratici» (il manifesto politico del Movimento 5 Stelle rappresenta, in tal senso, un esempio emblematico). In altre parole, secondo alcuni, accorciando le distanze e permettendo un contatto diretto tra popolo ed élite, Internet renderebbe possibile la realizzazione di nuove forme di partecipazione e, conseguentemente, di una nuova forma di democrazia. Tuttavia, nota Campati, a ben vedere, ciò non è altro che la riproposizione dello schema antico della democrazia diretta, integrato, però, «con le novità figlie della rivoluzione digitale» [p. 21]. Inoltre, la presunta assenza di mediatori, che sembra essere garantita dall’utilizzo di tali mezzi, si rivela, ad uno sguardo più attento, illusoria, comportando invece l’accrescimento e l’accentramento di potere nelle mani di (pochi) nuovi soggetti (cioè di coloro che detengono le chiavi del server), sempre più in grado di decidere quali sono le questioni meritevoli di essere portate al centro del dibattito pubblico: il risultato di tali dinamiche è, dunque, un processo di reintermediazione.
Ad ogni modo, la fascinazione per l’idea dei rapporti immediati non è, come si potrebbe essere indotti a pensare, un carattere peculiare delle democrazie attuali. Anzi, la storia della democrazia può essere descritta, dice Campati – rifacendosi ad uno studio di Edoardo Glebro –, «come il susseguirsi di momenti di mediazione e momenti di disintermediazione» [p. 21]. A sostegno di tale dichiarazione, l’autore dedica il secondo capitolo del testo all’analisi del concetto di corpo intermedio, ricostruendone la genesi e l’evoluzione storica. L’attuale crisi di legittimazione che vivono i suddetti corpi intermedi, non è, dunque, nuova: l’indagine condotta, pertanto, è prevalentemente consacrata alla ricostruzione storica, «importante per scoprire gli elementi teorici necessari per comprendere in che modo i corpi intermedi hanno raggiunto la loro piena legittimazione all’interno dello spazio democratico» [p. 41]. Con riferimento alle analisi di Lorenzo Ornaghi, Campati individua – a tal riguardo – alcuni momenti decisivi: la creazione dei collegia e dei corpora opificum nella Roma antica; la nascita delle corporazioni nel basso Medioevo; la legge Chapelier (emanata nel 1791), che stabilisce la soppressione di tutte le corporazioni; la rinascita delle corporazioni sotto la spinta della rivoluzione industriale; il pieno riconoscimento di cui questi organismi arrivano a godere tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 («anche attraverso il loro utilizzo come elementi basilari dell’architettura di nuovi sistemi politici» [p. 42] – emblematico, ma non unico, è il caso del fascismo italiano). La penultima tappa di questo processo evolutivo è, invece, collocabile nella seconda metà del secolo scorso, quando «l’influenza delle corporazioni si esprime all’interno della dinamica trasformativa dello Stato sociale» [p. 48]; la crisi di quest’ultimo ha, infine, determinato l’attuale rivolta contro i corpi intermedi.
L’autore non manca poi di svolgere un’analisi filosofica (che in realtà verrà ripresa e approfondita nel capitolo successivo), soffermandosi sulle teorie di vari pensatori che, seppur dall’interno di prospettive tra loro diversissime, si sono schierati a favore (come Hegel o Burke) dell’esistenza dei corpi intermedi, o contro di essi (come Hobbes, Rousseau e Kant), privilegiando invece l’idea di un rapporto esclusivo tra individuo e Stato. In tal modo, Campati può spiegare il perché, anche a livello teorico, quello di corpo intermedio sia un concetto tanto problematico, che sfugge, di conseguenza, ad una definizione univoca. Una delle prime difficoltà ad esso annesse riguarda l’individuazione dei soggetti al centro della mediazione: secondo alcuni, tali soggetti sono gli individui e lo Stato, e i corpi intermedi hanno la funzione di proteggere e integrare gli individui nei loro rapporti con lo Stato [p. 36]; secondo altri, la funzione di mediazione riguarda, al contrario, gli individui e la società. Ulteriori approcci sottolineano, invece, che lo scopo principale dei corpi intermedi è quello di portare avanti la rivendicazione di interessi particolari condivisi dai membri del gruppo [p. 37]; altri ancora, preferiscono porre l’accento sull’aspetto della loro collocazione extraistituzionale [p. 38].
Oggetto del terzo capitolo, come recita lo stesso titolo, è un’analisi delle varie teorie della mediazione e della disintermediazione. Prendendo le mosse dall’assunto bobbiano per cui rispetto alla teoria della mediazione è possibile distinguere due filoni di studiosi, quelli che la difendono e quelli che la confutano, Campati (in basso, nella foto) nota come per i primi l’esistenza dei corpi intermedi sia «un’efficace forma di protezione contro l’esercizio arbitrario del potere sovrano» e per i secondi «una minaccia permanente alla compattezza del corpo politico» [p. 69], che si concretizza nella rivendicazione di interessi parziali a danno di quello generale. Nel primo gruppo vanno indubbiamente inseriti Montesquieu, che concepisce i corpi intermedi (è bene ricordare, però, che si tratta di ordini quali la nobiltà e il clero) come un contro-potere e come un antidoto all’eccesso di discrezionalità del monarca e, di conseguenza, a possibili degenerazioni dispotiche [p. 70], e Hegel che (all’interno di un’analisi filosofica considerevolmente articolata, di cui non è possibile disquisire in questo scritto) definisce apertamente le corporazioni come base su cui poggia la società civile e luogo (della sintesi dialettica tra particolarità soggettiva e universalità oggettiva) in cui quest’ultima trapassa nello Stato [p. 77]. Anche Alexis de Tocqueville è annoverato tra i sostenitori dell’associazionismo, ritenuto il miglior argine al dispotismo e, pertanto, un elemento indispensabile per lo sviluppo della democrazia [pp. 79-81]. Tra i pensatori cattolici, è invece la figura di Luigi Sturzo ad essere reputata centrale: secondo il suo punto di vista, infatti, i corpi intermedi sono essenziali «all’interno di una teoria organica della democrazia», essendo «istituzioni libere dal potere politico e sufficientemente forti per interloquire con esso» [p. 86]. Jean-Jacques Rousseau è indicato, all’opposto, come uno dei principali avversari della teoria dei corpi intermedi, in quanto «risolvendo la volontà dei singoli individui nell’unica, infallibile e indivisibile volontà generale, propone l’annullamento delle società intermedie, accusandole di far prevalere gli interessi di parte sull’interesse generale» [pp. 71-72].
Il quarto capitolo è dedicato alla discussione del legame tra i concetti di velocità e di democrazia immediata. Infatti, «quando si riflette sulla relazione tra trasformazioni della democrazia e mediazione politica, si ricalca, in un certo qual modo, l’antica contrapposizione tra breve e lungo periodo, uno degli equilibri più difficili da raggiungere (e poi da mantenere), specie in un sistema rappresentativo: com’è noto, da un lato, la politica deve proiettarsi sull’interesse lontano, dall’altro deve cercare di soddisfare gli interessi immediati che gli elettori reclamano» [p. 97]. Per sgomberare il campo da possibili fraintendimenti, Campati precisa subito che parlare di immediatezza è diverso dal parlare di disintermediazione, anche se tra le due cose, inevitabilmente, c’è uno stretto legame. Mentre il bersaglio polemico dei sostenitori della disintermediazione è individuabile propriamente nei corpi intermedi, l’ideologia dell’immediatezza critica la lentezza dei processi decisionali che caratterizzano la democrazia, ritenendola un sistema farraginoso e inefficiente. Tuttavia, il difetto maggiormente imputabile a tale visione è, ad avviso di Campati – che argomenta sulla falsa riga della riflessione di Pierre Rosanvallon –, la mancanza di riflessività [p. 106]: i sistemi basati su simili meccanismi sono storicamente falliti proprio a causa dell’assenza di strumenti e procedure atti a rallentare i tempi della decisione e a raffreddare gli impulsi della volontà popolare. Cionondimeno, il concetto di democrazia immediata si rivela al quanto problematico, ed è per questo che l’autore riserva diverse pagine alla sua discussione. «L’espressione democrazia immediata viene variamente utilizzata per indicare un modello di democrazia basato su un ruolo preminente dell’esecutivo» [p. 111], tuttavia, tale concetto può essere declinato in termini parzialmente differenti a seconda dell’impostazione seguita dai diversi studiosi. Ad ogni modo, segnala Campati che in molti ritengono che il carattere peculiare della democrazia immediata sia quello dell’investitura diretta (del premier), per cui l’accento si sposta dall’aspetto della rappresentanza a quello della formazione dell’esecutivo [pp. 112-114].
I pensatori che meglio incarnano la contrapposizione tra immediatezza e mediazione sono Schumpeter (favorevole alla logica dell’investitura diretta del capo dell’esecutivo) e Kelsen (per cui l’obiettivo primario di una democrazia non è tanto quello dell’efficienza, quanto quello della garanzia della maggior libertà individuale possibile, e una democrazia mediata, appare ai suoi occhi lo strumento migliore per il perseguimento di questo scopo, riuscendo a creare una volontà collettiva in modo pacifico e non violento). Fondamentali sono anche i contributi offerti da Bagehot e Mill, che privilegiano, rispettivamente, l’aspetto della governabilità e quello della rappresentatività. Un ultimo significativo tassello è rappresentato, a tal proposito, dalla riflessione di Maurice Duverger, che si concentra sulla dicotomia tra democrazia mediata e immediata (dichiarando una personale e netta preferenza per la sua versione immediata) [pp. 116-117]. Infine, citando una serie di studi, Campati conclude il capitolo sollecitando il lettore a prestare attenzione ad alcune implicazioni connesse alla concezione immediata della democrazia, in quanto tale prospettiva è di fatto accompagnata dall’idea di un ruolo «forte» del capo del governo (e, dunque, da una chiara preferenza per il presidenzialismo), e legata a due tendenze ben visibili nel mondo politico odierno: il processo graduale di personalizzazione della leadership, da una parte, e il crescente successo di partiti e movimenti populisti, dall’altra.
La discussione storica e filosofica, condotta nei primi quattro capitoli (fin qui riassunta per sommi capi), è finalizzata allo scopo ultimo del volume, vale a dire la presentazione della teoria che dà il titolo al libro, quella di distanza democratica, discussa nella parte conclusiva del testo. Sulla base di una letteratura scientifica consolidata, Campati apre il quinto capitolo del suo saggio ricordando che la democrazia accoglie al suo interno «sia spinte alla mediazione, che alla disintermediazione» e che «le forme della rappresentanza consentono di trovare una sintesi tra la politica di breve periodo» (quella che si manifesta con le diverse forme di partecipazione popolare, per esempio i referendum) e quella «di lungo termine, come quella scandita dalle elezioni». «All’interno della democrazia rappresentativa convivono [perciò] due logiche, all’apparenza contrastanti, ma in realtà in tensione l’una con l’altra: la logica della prossimità e la logica del distanziamento», per le quali i politici sono obbligati ad ascoltare le richieste dei cittadini ma devono, allo stesso tempo, mantenere da questi una certa distanza [p. 141]. La distanza democratica va allora intesa in un duplice senso: dal punto di vista temporale (come sintesi tra breve e lungo periodo) e da quello spaziale (come definizione del «perimetro dei rapporti tra i pochi e i molti» [Ibidem]). L’esistenza di tale distanza, tra popolo ed élite ad esempio, è imprescindibile per la salute della democrazia, in quanto la sua mancanza può portare alla creazione di clientele e al sacrificio del bene comune in nome di interessi particolari. «Pertanto, se, per un verso, occorre denunciare una sorta di lontananza delle élite dai cittadini, per un altro, bisogna anche cogliere i pericoli di una eventuale prossimità opportunista, cioè quella che pretende di accarezzare gli istinti peggiori dell’opinione pubblica» [p. 142]. È inoltre fondamentale che anche nelle elezioni, vale a dire la pratica decisiva della democrazia rappresentativa, permangano sia il momento dell’identificazione sia quello della distinzione, per cui se da una parte è legittimo che l’elettore si aspetti che i rappresentanti prestino attenzione alle sue richieste, dall’altra è necessario che riconosca che «l’eletto ha delle capacità che egli stesso non possiede» [p. 143].
In conclusione, l’analisi svolta da Campati si rivela funzionale rispetto «all’obiettivo di argomentare l’importanza del concetto di distanza come elemento fondamentale delle teorie della democrazia e della rappresentanza» [p. 153], al fine di riuscire a problematizzare la tendenza all’immediatezza e alla disintermediazione che caratterizza l’età contemporanea. Appare chiaro, comunque, che l’intento dell’autore non è quello di schierarsi a favore di una concezione verticale della politica, ma di sottolineare che la dimensione della verticalità non può essere soppressa, dacché fondamentale tanto quanto quella dell’orizzontalità, essendo «entrambe […] peculiari della formazione del regime rappresentativo». È per tali motivi che occorre riconoscere l’importanza della funzione esercitata dai corpi intermedi e la necessità del mantenimento di uno «spazio entro il quale si percepisce la distanza tra rappresentante e rappresentato» [p. 154], cioè di «quella distanza che riesce a regolare il conflitto tra i pochi e i molti attraverso forme di mediazione che consentono e favoriscono il dialogo, il confronto, il compromesso» [pp. 154-155]: è solo l’azione dei corpi intermedi (i partiti in primis), che operano all’interno di tale spazio, che può garantire libertà, pluralismo e dibattito pubblico.
La democrazia è frutto di equilibri delicatissimi ed, evidentemente, sempre perfettibili. Realizzare un’adeguata sintesi tra distanza e vicinanza, da una parte, e tra funzione dei corpi intermedi e necessità di una democrazia decidente che non si blocchi nell’eterna mediazione, dall’altra, non è affatto semplice. Questo libro si pone nell’ottica di riscoprire e valorizzare tali equilibri, di aiutare questo dibattito a svilupparsi e di informare cittadini, opinioni pubblica e mondo scientifico, sulle trasformazioni che le democrazie attuali stanno subendo.
Lascia un commento