di Danilo Breschi
Diamo un’occhiata ai rapporti trimestrali pubblicati nell’ultimo periodo da alcuni istituti come la Banca d’Italia, l’Istat, il Centro studi di Confindustria e la Cgia di Mestre. Si nota che lo spread tra i Btp decennali e i Bund tedeschi è diminuito notevolmente fino a risultare quasi dimezzato da quando Berlusconi ha lasciato il governo e vi è subentrato Mario Monti. A proposito di finanza pubblica, però, il bollettino economico della Banca d’Italia ci dice che nel mese di ottobre di quest’anno il debito pubblico ha sfondato quota 2 mila miliardi, attestandosi a 2.014, ovvero, in valore assoluto, il livello più alto di sempre.
Dal canto suo, la Cgia di Mestre fornisce i seguenti dati: dopo che nel 2011 il prodotto interno lordo aveva mostrato una lieve crescita (+0,4%), quest’anno è letteralmente crollato (-2,3%). Una contrazione che ha subito inciso sui consumi che sono passati da +0,1% a -3,4%. Il presidente della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, ha inoltre sottolineato come parte della responsabilità sia dovuta ad una pressione fiscale lievitata ai massimi storici. Secondo il rapporto del Centro studi della Confindustria la pressione fiscale effettiva potrebbe salire nel 2014 al 53,9% del PIL, al netto del sommerso dal denominatore. Nel 2011 la pressione si era attestata al 42,8%, per quest’anno si parla di oltre il 44%.
Il debito pubblico continua dunque a salire. Secondo i dati forniti recentemente dalla Banca d’Italia, è aumentato del 3,7% da inizio anno fino all’ottobre scorso. La spesa per gli interessi corrisposti ai detentori delle obbligazioni statali è detta “servizio del debito” e costa all’Italia circa 80 miliardi di euro annui. Sempre secondo la Banca d’Italia, la spesa per interessi prevista per il 2012 è pari a 86 miliardi. Secondo i dati forniti dal Ministero del Tesoro, oltre al forte indebitamento dello Stato, il 2010 ha segnato i massimi storici per l’indebitamento degli enti locali (Comuni e Province), con un debito pro-capite di 1300 euro, pari al 3,9% del PIL.
Come è ormai noto anche ai più profani, i titoli di Stato sono oggetto di giudizio da parte delle cosiddette agenzie di rating. Ebbene, dobbiamo ricordarci che l’Italia fu declassata dall’agenzia di rating Standard&Poor’s per la prima volta nell’ottobre 2006, perdendo la sua doppia AA. La valutazione dell’agenzia ci degradò da AA- ad A+. Dopo quattro anni e mezzo, nel maggio 2011, la stessa agenzia ritenne che le prospettive della A+ andassero mutate da stabili a negative. Infine, nel settembre 2011 Standard & Poor’s tagliò il rating dell’Italia da A+ ad A, in vista di una nuova emissione di BOT e CCT. E qui si innescò l’accelerazione della crisi del governo Berlusconi, ormai fortemente indebolito sia a livello di coesione interna sia di credibilità estera, conclusasi con l’arrivo di Monti a Palazzo Chigi.
I dati ufficiali sul debito pubblico volano sopra le strumentalizzazioni politiche e le faziosità partitiche e ci rendono un quadro di complessivo e progressivo declino che ben poco ha tenuto conto dell’avvicendarsi al governo di Prodi, Berlusconi e Monti. Vediamo, ad esempio, il rapporto tra debito e PIL dal 2005 al 2011. Ebbene, nel 2005 la percentuale del debito sul PIL era del 105,83%, passata al 106,51% nel 2006, al 103,60% nel 2007 e al 106,30% nel 2008. Nel 2009 è poi schizzata prepotentemente al 116,10%, in corrispondenza di un incremento del debito da 1.666.603 a 1.763.864 miliardi e un decremento del PIL da 1.567.761 a 1.519.702. Tra 2010 e 2011 la percentuale è ulteriormente salita, dal 119% al 120,10%. Nel 2012, infine, non è trascorso mese in cui il debito non sia continuato a crescere a ritmo galoppante (con l’eccezione di febbraio ed agosto), arrivando appunto a superare la soglia dei 2mila miliardi. E siamo oggi a circa il 126% del rapporto debito/PIL.
Detto ciò, le strumentalizzazioni sono capaci, a loro volta, di volare sopra i dati e di pilotarli, previa abile e debita selezione e/o rimozione, e quindi prepariamoci ad assistere alla guerra delle cifre, che stavolta saranno almeno “triangolari”, ossia propinate e giudicate da tre diversi e configgenti punti di vista: Berlusconi, Monti e Bersani, sempre ammesso (e non concesso) che Vendola si allinei sulla “contabilità” bersaniana e Grillo (al pari di De Magistris, Ingroia & C.) si tenga sulla stessa linea del populismo berlusconiano. Nella guerra delle cifre su debito pubblico e dintorni si potrebbe, alla fine della campagna elettorale, configurare un inedito schieramento compattato dall’“antimontismo”, seppure con ciascuno degli antimontiani fermamente posizionato lungo l’asse destra-sinistra, che resta sempre utile per la raccolta dei consensi, specie con il Porcellum.
“Dire al popolo che la sua situazione verrà alleviata dalla dilapidazione delle proprietà pubbliche è un inganno grande e insolente”, ammoniva Edmund Burke nelle sue celebri Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia. E al monito aggiungeva un precetto: “mantenere un equilibrio tra il potere d’acquisto del cittadino e le domande a cui egli stesso deve rispondere da parte dello Stato è l’abilità principale del vero politico”. Così scriveva nel 1790.
Il 2013 dovrebbe vedere tutti preoccupati di trovare soluzioni davvero efficaci e al contempo eque al contenimento del debito pubblico, attraverso rilancio del PIL e tagli alla spesa pubblica, improduttiva o superflua. È su una crescita stimolata senza ricorso al debito pubblico che si giocherà molto del nostro futuro. All’obesità non si risponde solo e tanto con il digiuno o diete severissime, ma anche con uno stile di vita totalmente diverso, attivo e dinamico. Molta disciplina e rigore, ma non solo in termini di privazione. Occorrerà all’Italia del 2013 una significativa ripresa delle esportazioni così come maggiori investimenti dall’estero. Al momento, il Centro Studi di Confindustria ipotizza una “modesta” crescita, pari a +0,6%, per il 2014; qualche sollievo sarà forse intravisto a partire dall’ultimo trimestre del 2013 (+0,2%).
Urgono, pertanto, riforme strutturali, sia di natura istituzionale sia legate a maggiori investimenti. Ebbene sì: tagli da una parte, investimenti (anche) pubblici dall’altra. Si pensi, ad esempio, come una buona parte della nostra perdita di competitività sia legata ad una diminuzione di capacità del sistema educativo. Minore selettività, minore qualità, ancora eccessiva dispersione scolastica. E quanto ancora da fare sul mercato del lavoro, sulle sue regole, sui suoi operatori. Debito e crescita sono inestricabilmente connessi e interdipendenti.
Le forze politiche in campo tra gennaio e febbraio si dimostreranno consapevoli di quale sia la nostra spada di Damocle e ci proporranno ricette adeguate a rimuovercela dalla testa? Damocle non è più rassicurante di Guillotin: la spada sospesa sopra la sua testa era retta da un esile crine di cavallo. Pensare di scansarla mettendoci sotto i nostri figli non è più possibile, l’hanno già fatto i nostri genitori con noi dopo aver fatto ingrandire e affilare a dismisura la lama pendente. La differenza è che allora non c’erano i guardiani dell’Unione Europea a vigilare che non avvenissero sostituzioni. Qualora volessimo farle, dovremmo tornare a giocar da soli. Fuor di metafora: uscire dall’euro. Ma ci verrà proposto anche questo, statene certi. Si apre la campagna delle meraviglie elettorali e della Babele dei comizi televisivi: siete tutti invitati!
Commento (1)
Prima di Babele: il debito pubblico italiano tra il monito di Burke e la spada di Damocle – di Danilo Breschi | Nelle tue mani
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