di Davide Ragnolini
Perché lo Stato sovrano? Il sistema di Stati – sappiamo almeno dallo studio di Hendrik Spruyt, The Sovereign State and Its Competitors (Cambridge University Press, Princeton 1994) – è risultato da una selezione storica tra competitivi modelli di unità politico-territoriali tra loro diverse: leghe cittadine e imperi erano candidati altrettanto legittimi ad un’esistenza stabile e continuativa nel mondo politico internazionale, in modo concorrenziale allo Stato sovrano. Secondo Spruyt lo Stato sovrano (tardo-medioevale e moderno) si è rivelato essere l’unità politica più adeguata ad operare in una condizione di anarchia internazionale esterna, quindi a garantire un ordine gerarchico al suo interno. Ma perché lo Stato sovrano ancora oggi, nella cosiddetta post-modernità? E perché in Europa, per giunta?
“Lo Stato sovrano e i suoi concorrenti” potrebbe essere un sottotitolo adeguato al pamphlet saggistico del prof. Carlo Galli appena pubblicato e intitolato appunto Sovranità (il Mulino, Bologna 2019). Il contesto del saggio è occasionato, come rivela l’autore, dalla “diatriba tra ‘sovranisti’ e anti-sovranisti” (p. 28), ma nella chiara consapevolezza, peculiare ad uno storico delle dottrine politiche, che il concetto di sovranità sia troppo importante per essere relegato ad un’accidentale, o strumentale, polemica giornalistica. Perché è questa la condizione che si presenta nel dibattito politico italiano ed europeo oggi: “chi fa un uso positivo di quello che era il cuore della dottrina dello Stato, luogo centrale del diritto pubblico, bene custodito nella costituzione repubblicana e nella Carta dell’Onu, è ormai considerato un maleducato, un troglodita” (p. 7).
La sovranità, insomma, da sofisticato prodotto giuridico ed intellettuale della tradizione politica occidentale, si è trasformata in una “caricatura polemica” (p. 8), in cui statalismo e nazionalismo, nazionalismo e razzismo, e ancora razzismo e xenofobia, sono non di rado tra loro acriticamente equiparati (cfr. pp. 17, 25, 38, 140). Sia i significati polemici dell’anti-sovranismo odierno, che quelli positivi di ‘sovranismo’, sono da intendere in un senso così plurale da alimentare una confusione concettuale di fondo: “la sovranità è interpretabile tanto da destra quanto da sinistra, così come la volontà di superarla è tanto del capitalismo neoliberista quanto dei mondialisti moltitudinari” (p. 138). Ritrovare il bandolo della matassa in questa stratificazione di categorie polemiche è, soprattutto oggi, il compito a cui una breve storia del concetto di sovranità può forse adempiere.
Il saggio si articola in quattro parti (I. Definizione; II. Storia; III. Filosofia; IV. Oggi), nelle quali viene offerta una mappa dei problemi teorici e politici che inquadrano il dibattito giornalistico presente nel più ampio contesto di una storia delle idee politiche. La nozione di sovranità, così monolitica per le fluide sensibilità post-moderne, rappresenta secondo l’autore “l’espressione politicamente più alta” della modernità (p. 14), e al contempo il “principio di pluralismo internazionale” (p. 26) attorno a cui si è forgiata l’esistenza politica dei diversi popoli. La sovranità, ancora, è il convitato di pietra di un mondo in cui la sovraordinazione politica su ogni settore di vita associata (economica, tecnologica, privata), l’autonomia decisionale di un soggetto collettivo, il suo monopolio della forza e le sue capacità di conservazione giuridica nel tempo, sono ormai qualità reputate anacronistiche nel “mare magnum” globale (espressione, questa, ricorrente nei lavori dell’autore).
La sovranità, insomma, è un concetto che condensa all’interno di una comunità politica le “funzioni inerenti al fatto stesso che un soggetto politico possa dire ‘Io’” (p. 25). Senza sovranità, dunque, verrebbe a mancare uno strumento istituzionale per democratizzare lo stesso sistema internazionale, consentendo cioè alle diverse comunità, di regioni o sub-regioni, di farsi soggetti e rappresentanti dei propri interessi materiali e culturali. Non è stato un esito lineare: l’affermazione di una “sovranità nazionale impersonale” (p. 57) come condizione pressoché universale di esistenza dei popoli sulla terra è stato il parto di un travagliato percorso. Il secondo capitolo si cimenta con un excursus storico sullo sviluppo della sovranità nell’età moderna e contemporanea, attraversate da rivoluzioni (come quella inglese, francese, e russa) che hanno spettacolarmente rappresentato il “nemico” e al contempo il “grande motore” della stessa idea di sovranità (p. 22).
Il terzo capitolo fa della sovranità un termine di confronto obbligato per la storia della filosofia politica, ovvero “il tema in cui convergono i principali elementi della riflessione filosofico-politica moderna” (p. 73), da Bodin a Hobbes, da Locke a Hegel, da Marx a Schmitt, fino a quei sofisticati anti-sovranismi ante litteram di Kelsen e Foucault.
Il nostro tempo, invece, sembra essere meno erede della tradizione moderna che ha generato la ‘sovranità’, e più l’esito della critica parricida post-moderna verso questo concetto filosofico-giuridico. Da un lato la sovranità è concepita come esito giuridico incompleto, sulla base del principio di analogia domestica (pp. 107-108), che invoca una sorta di ‘sovrano globale’ in luogo di sovrani locali (pp. 107-108); dall’altro, la sovranità cessa di essere ‘utile’ rispetto all’orizzonte di un’economia globalizzata che “non richiede tanto l’unità politica quanto l’unità del mercato” (p. 110). Di qui, dunque, i surrogati post-moderni della sovranità (vetero)moderna: “il ‘dolce commercio’, il diritto e i diritti, la fratellanza universale, la tecnologia globale, la governance privatistica” (p. 24).
In luogo della fatidica questione degli “amici del popolo” si pone oggi un diverso problema, anche se per certi aspetti complementare: chi sono i “nemici della sovranità’? Nessuna netta risposta è avanzata dall’autore, ma è lecito individuare due categorie politiche (e polemiche) che affiorano a più riprese nel volume. Neo-costituzionalisti e neo-liberali. I primi hanno inteso limitare a partire dal secondo dopoguerra, su basi moralmente legittime, l’estensione e il potere della sovranità statale al suo interno e all’esterno (cfr. pp. 28, 39, 67). I secondi, invece, mirano a “sostituire il privato al pubblico, la libera scelta al comando, il mercato alla decisione, il contratto all’obbedienza, la pluralità all’unità, la concorrenza al conflitto, l’uguaglianza alla rappresentanza, la governance alle istituzioni politiche” (p. 112).
Per estendere – in modo euristico – la proposta teorica di Spruyt, si potrebbe dire che nella patogenesi della ‘sovranità’ offerta da Galli emergono oggi due concorrenti al modello di Stato sovrano: lo “stato senza sovranità” dei neo-costituzionalisti, e la “sovranità senza Stato” del mercato (neo)liberale (p. 119). È una metamorfosi, beninteso, quella che subisce il concetto di sovranità, non la sua scomparsa: il mercato è sovrano nell’esigere un’unità economica in luogo di quella politica; è sovrano nell’istituire nuovi confini finanziari (lo “spread”, cfr. p. 134) in luogo di quelli fisici; è sovrano nel decidere una “spoliticizzazione dell’economia” (p. 133) e nel punire le eterodossie economiche (i conti pubblici ‘non ordinati’, cfr. p. 136); è sovrano, infine, nel vincolare i soggetti dell’eurozona ad un ordine a loro esterno (i parametri di Maastricht), e nel difendere l’ideale di una “vera sovranità europea” (p. 141) rispetto a quella annessa storicamente ai singoli Stati.
Di fronte alla sovranità del paradigma economico neoliberale europeo, insomma, il cosiddetto “sovranismo” rimane una “richiesta di politica” (p. 144) da comprendere appieno, assieme alla complessa semantica che il termine “sovranità” racchiude e attraverso gli strumenti che la storia e la filosofia ci offrono. Quella che si profila su scala europea, però, sembrerebbe una situazione di stallo tra opposti, e parziali, sovranismi: “la semi-sovranità rimasta ai singoli Stati non protegge più le società dalle logiche semi-sovrane dell’euro, dei mercati e dalla sfida dell’immigrazione” (p. 138). Il saggio di Galli traccia un perimetro storico-filosofico in cui la sfida dei ‘sovranismi’ (e dei complementari ‘anti-sovranismi’) può essere ripensata criticamente, per una ragionevole apologia del concetto di sovranità.
È proprio perché, in fondo, la sovranità è logicamente ineliminabile e difficilmente surrogabile che il suo concetto deve tornare al centro dell’attenzione pubblica, sottratta alle faziosità di opposti opinionismi.
*Ph.D Candidate – Consorzio Filosofia del Nord Ovest (FINO) – Università degli Studi di Torino
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