di Alessandro Campi
Usare i simboli confessionali per dare corpo alla propria propaganda politica? La verità è che si accusa oggi Salvini di una cosa che la Lega, sin dalla sua nascita, ha sempre fatto e in modo cosciente. Tra i movimenti politici cresciuti sulle rovine della Prima Repubblica, quello leghista è infatti l’unico che abbia attinto a piene mani dall’immaginario mitico-religioso, per quanto in forme grossolane e spesso bizzarre, per costruirci intorno un efficace sistema ideologico.
di Alessandro Campi

Usare i simboli confessionali per dare corpo alla propria propaganda politica? La verità è che si accusa oggi Salvini di una cosa che la Lega, sin dalla sua nascita, ha sempre fatto e in modo cosciente. Tra i movimenti politici cresciuti sulle rovine della Prima Repubblica, quello leghista è infatti l’unico che abbia attinto a piene mani dall’immaginario mitico-religioso, per quanto in forme grossolane e spesso bizzarre, per costruirci intorno un efficace sistema ideologico.

La giustificazione mitologico-fumettistica del separatismo nordista, non bastando le rivendicazioni economiche contro Roma ladrona e gli insulti ai meridionali fannulloni per radicare nell’immaginario collettivo l’esistenza di un’entità politica denominata Padania, fu – come si ricorderà – il celtismo paganeggiante, con i suoi rituali folcloristici ma di grande impatto emotivo e mediatico: tipo attingere l’acqua del sacro fiume Po alle sue fonti sorgive per riversarla in un’ampolla che nelle mani del fondatore-sacerdote Umberto Bossi si trasformava in realtà in una reliquia sacra. Quella pre-cristiana (quando non apertamente anti-cristiana) fu una stagione lunga, anche se oggi rimossa da coloro stessi che all’epoca ne furono gli officianti politici, alcuni dei quali si narra che siano convolati a nozze ricorrendo a cerimoniali druidici.

Venne poi, per la Lega ancora guidata da Bossi, la svolta cristianista, all’interno della quale va inserito il Salvini che oggi agita i rosari nei comizi. Era il periodo cosiddetto della ‘guerra al terrorismo’, quando l’Islam, sotto forma di fanatismo o integralismo islamista, divenne il nemico da combattere nel nome dei valori profondi della tradizione cristiano-occidentale, a partire da quelli di libertà. Per inciso, in questa svolta la Lega si trovò affiancata a quegli ‘atei devoti’ che oggi considerano blasfeme o quantomeno inopportune le invocazioni salviniane alla Madonna come protettrice della sua battaglia contro l’Europa dei tecnocrati, ma che all’epoca tendevano anch’essi a ridurre il cattolicesimo ad una dottrina politico-ideologica privata della fede soggettiva e della trascendenza divina. I loro argomenti erano certamente più sofisticati intellettualmente, ma l’approccio alla sfera religiosa era egualmente improntato alla strumentalità e finalizzato a obiettivi mondani.

Per tornare alla Lega, richiamare questa sua antica tendenza a sovrapporre politica e religione, enfatizzando di quest’ultima soprattutto la dimensione esteriore e formale, vale a dire quei comportamenti convenzionali e ripetitivi che definiscono un’appartenenza o una tradizione storica per la cui difesa ci si batte contro ogni tentativo di manipolarla o rimuoverla, non vale ovviamente come giustificazione, ma come spiegazione di qualcosa che non è nuovo ma viene da lontano. E che rappresenta una peculiarità storica del leghismo spesso trascurata, consistente appunto nell’agitare simbolismi e pulsioni collettive irrazionali di grande forza evocativa a fini di mobilitazione politica. Quando era un partito del 4-8% la cosa poteva far sorridere o essere considerata marginale: trattandosi ora del primo partito italiano (almeno stando ai sondaggi) su questa sua capacità andrebbe fatta qualche considerazione più attenta.

Le critiche rivolte alla Lega in questi giorni, anche ad opera delle gerarchie ecclesiastiche, sono state molte e in gran parte meritate. Su tutte quelle di un cinismo eccessivo, di un occasionalismo propagandistico non sorretto da alcuna riflessione in una chiave anche solo rozzamente teologico-politica.  Si è puntato solo a capitalizzare il voto dei cattolici sfruttando quello che si ritiene il disagio di questi ultimi nei confronti d’un papato che, per dirla rozzamente, guarda troppo al mondo e poco all’Italia che pur sempre lo ospita. In effetti, basterebbe la lettura del Catechismo della Chiesa per capire quanto siamo pericolose e inopportune certe invocazioni del divino per dare valore a impegni politici secolari che se non rispettati rischiano poi di far passare come bugiardi e inadempienti non solo i politici incapaci di mantenere le loro promesse, ma anche i Santi dietro i quali ci si è nascosti.

Purtroppo per tutti le censure alla Lega non risolvono una questione che nella politica italiana odierna appare più complicata. Nel senso che l’utilizzo occasionalistico e strumentale dei valori e simboli religiosi, ovvero il loro svilimento a fini di propaganda, è in realtà una pratica più diffusa di quanto sembri e procede sui lati opposti dello schieramento politico. Se non piacciono (giustamente) le invocazioni salviniane a Maria Immacolata o a Padre Pio in realtà non dovrebbero nemmeno piacere i presepi multiculturali allestiti per promuovere la buona causa dell’integrazione o per sensibilizzare sul tema dei migranti morti in mare. Un Gesù bambino di colore che si salva dai flutti grazie al salvagente: non è anche questo un modo per piegare strumentalmente simboli e tradizioni religiose ad una battaglia propagandistica, per quanto nobile la si voglia giudicare? Così come non dovrebbero piacere, se non piacciono le scempiaggini a sfondo para-religioso pronunciate da politici a caccia di facili consensi, certe incursioni in campo politico di esponenti religiosi (cardinali, preti o suore non fa differenza) che rischiano troppo facilmente di trasformarsi, da testimoni della fede, in agitatori sociali o, peggio, in militanti politici che usano il Vangelo e i testi sacri come un manuale per le lotte studentesche. Così facendo si testimoniano valori morali forti, dinnanzi ad una società sempre più cinica e brutale, o li si annacquano in senso politico-moralistico, finendo per gettare nella confusione gli stessi credenti?

Quello che si perde in questa sovrapposizione dei ruoli – riflesso di una doppia e convergente crisi storica: la delegittimazione della politica che per riabilitarsi può anche arrivare a parodiare il linguaggio del sacro e la riduzione del sentimento religioso nelle masse che spinge le chiese ad adottare posture sempre più secolari nella speranza d’agganciare nuovi proseliti – è quel principio di laica separazione tra la sfera sacro-religiosa e la sfera civile-istituzionale su cui s’è costruita (faticosamente) la modernità politica e che la democrazia italiana – persino quando c’era un partito che aveva per simbolo uno scudo crociato – ha saputo lungamente praticare. E che andrebbe riscoperta come premessa per la valorizzazione di entrambe: laddove alla politica toccherebbe risolvere i problemi dei cittadini con pragmatismo e alla religione dare un senso ai tormenti dell’animo umano.

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