di Luca Marfè
NEW YORK – Trump come Obama? Soltanto poche settimane fa, chiunque o quasi l’avrebbe interpretata come una battuta. Ma che la stagione politica del tycoon fosse destinata a stupire lo si era capito sin dai primi colpi della sua campagna elettorale, sin da prima che diventasse presidente.
Questa volta, però, si apre un capitolo nuovo, potenzialmente epocale. Per i suoi sostenitori, che lo accolgono a gran voce in Michigan al grido «Nobel!
di Luca Marfè

maxresdefaultNEW YORK – Trump come Obama? Soltanto poche settimane fa, chiunque o quasi l’avrebbe interpretata come una battuta. Ma che la stagione politica del tycoon fosse destinata a stupire lo si era capito sin dai primi colpi della sua campagna elettorale, sin da prima che diventasse presidente.

Questa volta, però, si apre un capitolo nuovo, potenzialmente epocale. Per i suoi sostenitori, che lo accolgono a gran voce in Michigan al grido «Nobel! Nobel!». Per la Storia che potrebbe accogliere più o meno volentieri il suo nome tra i grandi. Ma soprattutto per The Donald che, di colpo, da presunto guerrafondaio, da Commander in Chief impulsivo e strillone, potrebbe vestire i panni del paladino della Pace.

Del resto, per quanto l’idea possa far storcere il naso, è finito col riuscire proprio là dove nessuno era riuscito per quasi settant’anni.

La guerra di Corea (1950-1953) non è mai finita. Una sorta di “Guerra Fredda” in salsa orientale, con due mondi diversi e asserragliati l’uno contro l’altro lungo la linea del 38esimo parallelo, con una zona demilitarizzata a fare da cuscinetto.

E invece eccole le immagini che hanno cambiato il mondo.

Kim Jong-un e Moon Jae-in che sorridono, che si stringono la mano, che persino se la tengono mentre camminano fianco a fianco. Firmano un’intesa, convergono sulla necessità di seppellire le tensioni sotto la parola fine.

Ciò che sarebbe stato letteralmente impensabile dopo un anno di scossoni folli prende invece forma e si materializza.

Grazie a Trump, secondo molti.

La teoria che il merito sia delle Nazioni Unite non sta in piedi. Le sanzioni economiche hanno avuto il loro peso, certo, ma l’Onu esiste da prima ancora che Pyongyang e Seul entrassero in rotta di collisione. E, per decenni, sono rimaste alla finestra a guardare.

La vera svolta sta nell’atteggiamento, paradossalmente proprio nel muso duro del presidente americano. I toni agitati, le minacce furibonde e le manovre militari (più che concrete) hanno convinto la vera protagonista di tutta questa vicenda a fare la sua parte. E a farla fino in fondo. La Cina di Xi Jinping, infatti, ha capito. Ha capito che Trump non scherzava o che non era comunque il caso di metterlo alla prova. Ha capito che era diventato assolutamente necessario far ragionare l’alleato del Nord.

Kim richiamato all’ordine, dunque, ed improvvisamente disponibile a cordialità e telecamere.

La dottrina degli strilli ha pagato eccome, insomma.

Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha da sempre puntato il dito contro chi, a suo dire, ha avuto il demerito di indebolire immagine e forza dell’aquila a stelle e strisce. Ha reclamato con energia una dialettica ed un’estetica più muscolari, in qualche modo più consoni ad una superpotenza. Ed ha, in definitiva ed oggettivamente, avuto ragione.

Trump come Obama?

Considerata l’avventatezza con cui il Nobel fu assegnato nel 2009, in maniera quasi “preventiva”, be’, Trump forse addirittura meglio.

E adesso, nonostante abbia gli intellettuali di mezzo mondo contro, potrebbe succedere per davvero.

 

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