di Luca Marfé
A parole è già guerra. Una guerra fatta di tensioni e di tweet, con Donald Trump che oscilla tra la retorica innocua di una campagna elettorale mai finita e la furia pericolosa di un carattere imprevedibile e perennemente agitato.
Difficile immaginare una minaccia più netta di quella che il presidente affida alla sua piattaforma social preferita:
«Se l’Iran vuole combattere, sarà la fine ufficiale dell’Iran. Non minacciate mai più gli Stati Uniti!», con quel punto esclamativo in chiusura che sa tanto di pugno sbattuto sul tavolo del mondo.
La speranza è che non si passi da Twitter ai fatti. La paura è che l’escalation militare sia dietro l’angolo. O meglio, che sia già in atto.
Al di là degli oramai consueti proclami nucleari, Rouhani e i suoi sono al centro del mirino a stelle e strisce per tutta una serie di episodi a dir poco sospetti.
Prima il sabotaggio di due petroliere saudite, poi l’attacco di un oleodotto strategico operato da uno sciame di droni, ora l’intensificarsi del trasporto marittimo di forniture missilistiche.
«Servono per le nostre attività in Yemen», fanno sapere da Teheran.
Ma nulla di ciò che sta accadendo nel Golfo Persico piace a Washington.
Trump ci prova pure ad abbassare i toni. E lo fa in un tv, in un’intervista andata in onda sulla rete amica Fox News.
«Non voglio combattere, ma non voglio che abbiano un arsenale nucleare. Qui nessuno vuole la guerra, ma non possono permettersi di minacciarci», ha ribadito con fare fermo.
Insomma, il regime deve cambiare atteggiamento. Quasi certamente, però, non lo farà.
Le ragioni sono in buona sostanza due e sono molto semplici: in primis, la distensione non è nelle corde naturali di un Paese che, tra mille altre cose, invoca la scomparsa di Israele da decenni. In secondo luogo, perché Rouhani ha un bisogno pressoché disperato di mantenere viva la contrapposizione con un nemico, meglio ancora se occidentale, per insabbiare una gestione interna fallimentare.
Un mosaico complesso di interessi, diplomazia e sanzioni, attorno al quale va materializzandosi un rischio enorme.
Che si completi, cioè, con il tassello di un intervento militare.
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