di Alessandro Campi
Ogni epoca di grandi trasformazioni tecnologiche ha prodotto due atteggiamenti opposti: l’ottimismo edificante (e spesso anche un po’ ingenuo) dei visionari e il pessimismo cosmico dei profeti di sventura. Quelli che guardano al futuro con speranza e quelli che ne hanno paura e mettono in guardia contro i pericoli che ci aspettano.
Davide Casaleggio (nella foto), leggendo la sua intervista apparsa su “La Verità” del 23 luglio 2018, appartiene decisamente alla prima schiera. I cambiamenti determinati dalla rivoluzione informatico-digitale, di cui si è intestato la rappresentanza politica attraverso il M5S e sulla scia all’eredità paterna, secondo lui daranno vita ad un mondo decisamente migliore dell’attuale. Più libertà di pensiero, più partecipazione alla vita pubblica, più diritti individuali e sociali, più tempo libero per oziare e pensare grazie all’automazione, una vita biologica più lunga grazie alle innovazioni nel campo della genetica, più trasparenza, più senso civico e meno corruzione.
Sembra aspettarci un’arcadia che al momento nemmeno immaginiamo. Quanto ai pericoli che spesso si adombrano – il macchinismo che ci rende schiavi e ci disumanizza, il Grande Fratello che ci controlla nel pensiero e nei comportamenti, le troppe ore sui social network che ci istupidiscono, l’eccesso d’informazioni che paradossalmente ci rende più ignoranti, il conformismo gregario di un popolo manipolato proprio da chi parla in suo nome – a Casaleggio appaiono come cattivi scenari frutto di cattive sceneggiature cinematografiche o trame. Le distopie totalitarie spesso immaginate sul grande schermo e in letteratura non saranno la nostra vita reale, che grazie all’innovazione tecnologica sarà invece più felice e libera dalle incombenze he oggi ci gravano.
Ma Casaleggio non è solo un futurologo un po’ troppo entusiasta del mondo che descrive, ma il capo politico informale di un movimento che raccoglie milioni di voti e che attualmente siede al potere. Da qui il doppio interesse per la lunga intervista rilasciata a Mario Giordano. Che per quanto priva di un reale contraddittorio e centellinata in ogni parola, oltre che un tantino didascalica, aiuta a capire diverse cose del M5S e del suo successo.
Leggendola si comprende ad esempio che se speculare sul futuro espone al rischio di sbagliare previsioni, non avere cognizione di come profondamente stia cambiando il mondo espone ad un rischio maggiore. Quello del declino lento ma irreversibile e della scomparsa. Che è quanto sta in effetti accadendo alle forze politiche tradizionali, che si ostinano a polemizzare in pubblico utilizzando parole come populismo, fascismo e comunismo senza rendersi conto, come appunto sostiene Casaleggio, che sono etichette polemiche, simboli di un passato improponibile, laddove il vero problema è come la tecnologia digitale sta già trasformando le relazioni sociali e di potere, la sfera del lavoro, i nostri sistemi politici, l’idea che oggi abbiamo della democrazia, il nostro stesso modo di pensare. Quanti politici italiani discutono di questi temi o li considerano rilevanti?
Parlando del M5S viene facile dire che Grillo è un uomo di spettacolo che troppo spesso si diverte a scandalizzare e a provocare. Che nel movimento c’è una vena d’intolleranza e di settarismo che cozza con una visione liberale della politica. Che la sua base elettorale è spesso motivata dal risentimento sociale e da un eccesso di rabbia. Tutto vero. Ma dall’intervista si capisce anche che c’è in questo fenomeno politico un elemento di sfida culturale, un nucleo ideologico-progettuale, che i suoi avversari si ostinano a trascurare preferendo prendersela con il dilettantismo o la facile demagogia dei suoi capi.
Dire, come appunto fa Casaleggio, che il Parlamento – inteso come luogo ‘fisico’ di mediazione e rappresentanza degli interessi e come organo deliberativo – nel futuro prossimo non servirà più, ovvero svolgerà funzioni molto diverse dalle attuali, è solo eversione? E se fosse invece un futuribile sul quale, in primis chi si occupa di politica e istituzioni, dovrebbe provare a ragionare? Su quali basi logiche e storiche possiamo affermare che la democrazia rappresentativa, così come l’abbiamo conosciuta sostanzialmente negli ultimi cento anni (peraltro lungi dall’essere ancora oggi un regime universale), rappresenti una forma politica irreversibile e immodificabile, la cui unica alternativa sarebbe rappresentata dall’autoritarismo?
La democrazia diretta e partecipativa proposta dai grillini può anche non piacere. Si fa bene a sollevare dubbi su un partito che mentre invoca più ‘potere ai cittadini’ e più trasparenza dà spesso l’impressione di essere eterodiretto dall’esterno e di dipendere per le sue decisioni finali da un’azienda privata. Ma come si fa, visto come galoppa l’innovazione digitale in ogni campo dello scibile umano, inclusa la politica, a liquidare come provocazioni o stupidaggini certi scenari politici? Sono i grillini troppo avanti (per quanto confusamente) o i loro avversari troppo indietro?
Vale lo stesso per l’affermazione di Casaleggio sulla fine, a causa dell’automazione, del potere delle grandi burocrazie statali e sovranazionali. La loro odierna capacità a fissare regole che i cittadini sono semplicemente tenuti a osservare quanto può ancora durare in un mondo ove è già possibile utilizzare piattaforme digitali che consentono a chiunque di gestire in autonomia e senza mediazioni istituzionali i servizi di cui si ha bisogno? Certo, ciò che è tecnicamente possibile non per questo è utile o desiderabile (vale in particolare per le nuove frontiere delle scienze della vita). Ma l’impressione è che il M5S sia, per quanto in forme confuse e talvolta grossolane, l’espressione politica di una post-modernità che gli altri partiti non conoscono e non capiscono o che declinano nel modo più banale: la Rete, nelle sue potenzialità effettive, non è avere un profilo su Facebook o impiegare compulsivamente Twitter! Stando così le cose tra l’altro si capisce il seguito di cui esso gode tra le nuove generazioni.
Il resto dell’intervista, dal tono complessivamente rassicurante come si addice ad una forza ora di governo, scorre tra affermazioni in alcuni casi banali, elusive e scontate, in altre di puro buon senso. Ma anche queste ultime utili a capire l’attuale successo grillino: ad esempio la denuncia del parametro europeo del 3% nel rapporto deficit/Pil come puramente convenzionale e ormai anacronistico ai fini dello sviluppo economico (laddove che chi tende a considerarlo un dogma finanziario intangibile); oppure la richiesta di sottoporre a referendum popolare obbligatori tutti i trattati europei (per renderli autenticamente vincolanti e legittimi). Resta tuttavia la questione fondamentale sollevata da quest’intervista: è in corso una rivoluzione – cognitiva, sociale, politica, del linguaggio – che i grillini hanno compreso per primi e che stanno provando (peraltro con successo, visto i risultati elettorali) a cavalcare. Mentre tutti i loro avversari si limitano a guardare, a fare i saccenti o a giocare di rimessa, nella convinzione che gridare ogni giorno al lupo populista basti a farli vincere di nuovo.
+Editoriale apparso su ‘Il Messaggero e ‘Il Mattino’ del 24 luglio 2018.
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